Melbourne

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sabato 28 febbraio 2015

GIORNO 24 - IL SURF E LE TARTARUGHE

GIORNO: 27/02/15
STATO: QUEENSLAND
KM GIORNALIERI: 191
PARTITI DA: Agnes Water 
ARRIVATI A: Bundaberg

Lorenzo arriva al campeggio alle 09:40 con il suo fuoristrada e il carrello delle tavole da surf tutte impilate. Sarà lui oggi, a farci la nostra prima lezione. Oltre a noi due, altri 8 ragazzi prendono posto sul Land Cruiser. Alcuni sono canadesi, parecchi sono europei. Lorenzo ha origini italiane, siciliane più precisamente, ma dice di capire qualcosa se parliamo piano e ogni tanto richiama la nostra attenzione urlando ‘’Forza Italia!’’. Il padre, appassionato di Ferrari, lo avrebbe voluto chiamare Dino, ma “Thank God” poi ha deciso di dargli Lorenzo.
Si dimostra già da subito un ragazzo molto simpatico, scherzoso e che ci sa fare con i ragazzi.
Ci spiega che il posto lì vicino si chiama 1770 perché siccome tutte le donne fanno surf dimostrano 17 anni dietro e 70 davanti.
Dopo una decina di minuti di bruschi spostamenti e qualche colpo tra noi, futuri surfisti, arriviamo in spiaggia. Lorenzo distribuisce a tutti delle maglie rosse che lo aiuteranno a distinguerci una volta in acqua e che ci proteggeranno anche dal sole. Ci suggerisce, con un accenno di imposizione, di metterci la crema solare ovunque, in quanto passeremo 3 ore, le più cocenti, sotto il sole. Ognuno di noi deve portare la propria tavola fino alla spiaggia, passando per la passerella in legno che la collega al parcheggio. La tavola è grande e pesante perchè per iniziare si ha bisogno ovviamente di una superficie maggiore su cui esercitarsi a mantenere l’equilibrio e a fare i giusti movimenti. A noi Lorenzo consiglia di trasportarle entrambe assieme, mettendoci le tavole sotto le braccia, uno davanti a reggerne un’estremità, l’altro dietro nella parte finale. Siamo di fronte alla riva, ma ancora non sappiamo cosa dobbiamo fare e dove. L’istruttore guarda concentrato il mare e non dice niente. Una ragazza prova timidamente a chiedergli cosa stiamo aspettando e lui risponde dicendole che sta valutando cosa fare e dove andare. Lei indica alcune onde poco più in là, lui ridendo le chiede se ha davvero intenzione di surfare in mezzo alle rocce. Ci indica un albero a 200 metri a destra e ci dice di caricare nuovamente le tavole e raggiungerlo.
Le tavole vengono disposte tutte e dieci parallele sulla sabbia umida della riva e noi in semicerchio attorno a Lorenzo, che ascoltiamo concentrati i primi consigli. 
Si corica, pancia a terra davanti a noi e ci spiega i movimenti. Ci dice da subito che la parte difficile non è stare in piedi sulla tavola ma beccare l’onda giusta. 
Pancia sulla tavola e “paddle paddle paddle!!!” - remare, remare, remare. I piedi devono stare appena fuori dalla coda per bilanciare meglio il peso e ancora “paddle paddle paddle!!!”.
Com’era facilmente intuibile per girare la tavola un braccio rema da una parte e l’altro in direzione contraria e poi si aspetta l’onda.
Appena pensiamo di aver individuato l’onda da cavalcare “paddle paddle paddle!!!”, quando sentiamo che l’onda ci ha preso e ci sta spingendo e pensiamo di doverci issare in piedi ancora “paddle paddle paddle!!! 4 more times!!” e solo allora ruotare leggermente il bacino, fare leva sul piede d’appoggio e tirarsi su.
Ora tocca a noi metterci pancia a terra, sulla tavola poggiata sulla sabbia e provare. Ci fa provare prima tutti assieme. “Paddle paddle paddle!!!” e chili di sabbia cominciano a volare alle nostre spalle, arriva l’onda “paddle paddle paddle!!!” ancora “paddle paddle paddle!!!” e ci issiamo tutti sulla nostra tavola a cavalcare la nostra onda immaginaria.
Ci fa riprovare uno per volta e ci corregge gli errori di impostazione o di movimento.
Ci spiega alcuni gesti per comunicare tra di noi senza sprecare fiato utile al remare e ci spiega il “Titanic” manovra con la quale richiamiamo il suo aiuto. Si tratta di posizionarsi in ginocchio sulla tavola, aprire le braccia e urlare “Don’t let me go, Jack!” 
Due ragazzi che già hanno preso parte alla lezione il giorno precedente sono autorizzati a entrare in acqua da subito. Lorenzo li guarda e si mette a ridere perché i ragazzi sono entrati dritti in acqua dal punto in cui ci trovavamo senza valutare il fatto che in quel punto la spiaggia curvava e quindi sarebbero potuti arrivare alle onde passeggiando invece di faticare per trasportare la tavola per 50m dentro l’acqua. 
Ci da quindi le ultime direttive e ci dice di entrare in acqua. Uno per uno prendiamo la nostra tavola e lo seguiamo. Uno per volta ci guida e ci spiega il modo per prendere l’onda. La prima volta ci sta a fianco e ci spinge non appena l’onda ci è alle spalle. Sentiamo la spinta e “paddle paddle paddle!!!”.
Dalle volte dopo siamo noi a dover individuare il momento preciso in cui darci la spinta iniziale. Capita quindi che iniziamo a remare troppo presto o troppo tardi e l’onda la perdiamo, o non riusciamo a sfruttarne la spinta.
E capiamo tutti, sin da subito, che Lorenzo aveva ragione. Stare in piedi, sulle nostre lunghe tavole, è facile. Per tornare un po’ al largo a cercare l’onda giusta invece si fa una fatica immane.
Entrambi riusciamo a tirarci su al primo tentativo. Andiamo avanti per 10, forse 15 metri, poi esauritasi la forza dell’onda ci lasciamo andare e riprendiamo la nostra tavola.
E continuiamo così per tutta la mattinata. “Paddle paddle paddle!!!”. Impazienti di riprovare l’ebbrezza di stare in piedi sulla tavola e di cavalcare l’onda la finiamo a prendere un sacco di onde brutte e inconsistenti ed a prenderci in faccia, nel tentativo di tornare indietro, quelle davvero decenti. Il mare non è grosso, le onde saranno di massimo un metro e mezzo, ma attorno a noi vediamo tanti surfisti esperti che si divertono, con tavole lunghe forse la metà della nostra, molto più reattive e instabili. Prendono l’onda sulla cresta, la attraversano per tutta la lunghezza, girano la tavola di nuovo verso l’onda per cercare di sfruttarne le ultime forze di spinta. Noi continuiamo a prendere acqua in faccia e qualche piccola soddisfazione. Proviamo entrambi una tavola leggermente più piccola, ci rendiamo conto della differenza, ma capiamo anche quanto sia più soddisfacente usarla.
Dopo tre ore siamo tutti sfiancati. Usciamo dall’acqua e ci guardiamo. I corpi di tutto il gruppo sono pieni di graffi e abrasioni procurati contro la tavola. I lividi usciranno il giorno dopo. Tutti quanti siamo estremamente contenti della mattinata. Lorenzo ci fa i complimenti e ci indica le tavole. Sono da riportare su verso la macchina, alcune centinaia di metri sulla sabbia e poi in salita. 
Carichiamo le tavole e riprendiamo lo sterrato e poi la strada verso il nostro campeggio. 
Ci dice che le foto fatte con la GoPro verranno caricate l’indomani sulla pagina Facebook, di prenderle pure. Lo salutiamo e corriamo verso le docce. Siamo stanchi e ci sentiamo sporchi. La doccia aiuta, il piattone di pasta Barilla al sugo coi funghi anche.
Ci ristabiliamo e ripartiamo, direzione Bundaberg, un centinaio di chilometri più a sud, località famosa perché in una delle sue spiagge si recano le tartarughe marine per deporre le uova. 
Come suggerisce la brochure informativa online, alle 19:00 siamo davanti alla struttura che gestisce l’ingresso alla spiaggia delle tartarughe. Il parcheggio è pieno e la fila all’ingresso pure. Capiamo fin da subito di non essere in vantaggio, essendo che tutti hanno già prenotato a differenza nostra. Una guida ci dice di attendere ad un lato della fila e così facciamo. Le zanzare ci stanno divorando e il tempo passa e nessuno ci da delle informazioni. Dopo 20 minuti, la situazione migliora; capiamo che le persone sono divise in gruppi e noi, dopo aver fatto il biglietto, veniamo inseriti nel gruppo 5, ossia l’ultimo. La guida spiega come, essendo che stiamo andando ad osservare degli animali in natura, non ci sono tempi o orari precisi e che quindi non si sa quando sarà il nostro turno. E in effetti ci sarà tanto da aspettare. Per smorzare l’attesa, ci invitano a sederci in un anfiteatro all’aperto a guardare dei video riguardanti le tartarughe e il lavoro che c’è dietro alla conservazione della specie e alla limitazione dei danni causati dall’uomo. Tutto molto interessante ed educativo, se non fosse che l’audio non supera la qualità di un tubo di Pringles usato come cassa. Sono le 21:00 ed è il turno del gruppo 4; per noi è invece ora di cenare e con soli 6 dollari ci concediamo due belle porzioni di patatine fritte della paninoteca ambulante di fianco. Passa mezz’ora ed è il nostro turno. Veniamo raggruppati davanti alla passerella che ci porterà in spiaggia e ci vengono ricordate le regole più importanti: non utilizzare fotocamere se non nei punti consentiti, stessa regola per torce o luci di qualsiasi tipologia. 
La guida davanti a noi, si fa strada sulla sabbia con una torcia e con attenzione verifica che non vi siano tartarughe nel percorso. Ci spiega che ci stiamo recando a vedere una nidiata di tartarughe, in una duna di sabbia a qualche decina di metri più avanti. Nella sabbia, notiamo le tracce delle tartarughe che abbiamo visto il giorno prima anche a Lady Musgrave Island; impronte che vanno dalla riva verso le dune di fronte, a 20 metri di distanza. La spiaggia è illuminata esclusivamente dalla luna e dalla luce soffusa del caschetto della guida. 
Ci posizioniamo tutti intorno ad un piccolo spazio di sabbia tra l’erba della collinetta e osserviamo l’unico punto illuminato dalla torcia, un’area di 30-40 cm di diametro che ospita qualcosa di ancora poco chiaro. Ma al persistere della luce, qualcosa inizia a muoversi. Piano piano ci rendiamo conto che davanti ai nostri occhi, si muovono sempre più velocemente decine e decine di minuscole tartarughe, che sicuramente non conoscono la differenza tra luce artificiale e naturale. Dopo pochi minuti, anche quelle che sonnecchiavano sotto la sabbia più in profondità, escono e seguono in una fila disordinata, quelle a capo della fila. Ma non sono ancora finite: la guida, ormai esperta, infila la mano nella sabbia e gentilmente rastrella con le dita, alla ricerca di qualche tartaruga forse troppo in profondità. Ne trova solamente una, che accompagna gentilmente lungo il ‘’giusto percorso’’. Ma nelle nostre menti frullano diverse perplessità: cosa stiamo facendo? Perchè stiamo facendo muovere le tartarughe artificialmente e non le lasciamo al loro percorso naturale? 
Ci viene spiegato che, le tartarughe adulte dopo la covata, abbandonano la nidiata al proprio destino. I piccoli dovranno poi arrangiarsi da soli a trovare la strada verso il mare e a cavarsela da soli per sopravvivere. In realtà solamente una su cento riuscirà a raggiungere l’età adulta. 
Il ‘’compito’’ delle biologhe è quello di indirizzare i piccoli verso il mare, facendoli arrivare tutti a riva, creando loro un percorso di luce artificiale dal nido all’acqua. 
Ma ancora le spiegazioni non ci soddisfano e siamo ancora perplessi sul fatto che l’uomo stia intaccando delle fasi naturali della vita di un altro essere vivente, magari alterandone il percorso. 
Così, mentre ci spostiamo dalla duna verso la riva, a una decina di metri dall’acqua, approfittiamo per chiedere spiegazioni alla guida. La ragazza ci rassicura confermando che tutto quello che stiamo vedendo non è in nessun modo dannoso per le tartarughe, né va ad alterarne il ciclo vitale; si tratta diciamo di un piccolo aiuto che va a ridurre le difficoltà che le piccole tartarughe troveranno nel loro lungo viaggio. In realtà attraversare la spiaggia è la parte più semplice del loro percorso, che inizierà a farsi duro una volta che entreranno in mare. 
Sulla sabbia, vengono tracciate due righe andando a formare un percorso. Ad un’estremità, la biologa e il centinaio di piccole tartarughe, dall’altra il mare. Ancora una volta, un percorso di luci sarà la guida che le farà camminare da una parte all’altra. Per coinvolgere il pubblico, le guide prelevano 7-8 persone dotate di una torcia e le dispongono al centro del percorso con le gambe divaricate. Non approviamo tutto questo show, che non fa altro che alimentare i dubbi dell’intero processo, ma osserviamo in ogni caso cosa succede. Le piccole tartarughe, attirate ancora una volta dalla luce, iniziano la loro corsa verso la libertà, verso l’inizio della loro vita marina. La prima della fila, sembra quasi avere fretta e si distanzia dalle altre. All’altro capo della coda, c’è invece la più lenta, quella con meno sprint, quella che di arrivare in acqua non ne vuol sentire. Ma il mare è anche il suo di destino e anche se è l’ultima ruota del carro, anche lei dopo una manciata di minuti, viene risucchiata dalle onde. Veniamo quindi riaccompagnati verso il centro informazioni da cui eravamo partiti. Un centinaio di metri più in là la guida ci impone di fermarci. Alcune tartarughine provenienti da chissà quale nidiata stanno attraversando davanti a noi. Aspettiamo che l’attraversamento sia completato e riprendiamo la strada. Torniamo al van non prima di aver ammirato un ragno enorme nel bagno degli uomini. Percorriamo i 40 km che ci separano dall’area di sosta. E’ stata una lunga giornata e ci addormentiamo immediatamente.


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