Melbourne

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sabato 28 febbraio 2015

GIORNO 23 - LADY MUSGRAVE AND THE OUTER REEF

GIORNO: 26/02/15 
STATO: QUEENSLAND
KM GIORNALIERI: 0
PARTITI DA: Agnes Water 
ARRIVATI A: Lady Musgrave

La sveglia per andare sull’atollo è alle 6 e mezza. Ci prepariamo e andiamo al porticciolo, a pochi chilometri da Agnes Water, più precisamente a 1770 (il nome della località è davvero un numero). 
Arriviamo e consegniamo i fogli compilati all’istruttore di scuba diving. Pochi minuti dopo siamo tutti sulla “Spirit of 1770” pronti a lasciare il porto. Ci incuriosiscono i numerosi sacchetti per il vomito presenti un po’ ovunque sull’imbarcazione. 
I membri dell’equipaggio ci mostrano le procedure di sicurezza come fossimo su un aereo e si sincerano che abbiamo capito il modo in cui vadano chiusi i sacchetti per il vomito.
Il motivo appare chiaro non appena lasciamo il porto. Le correnti in quel tratto di Oceano sono fortissime e le onde alte. A ciò si aggiunge il fatto che stiamo andando contro la corrente. Un saliscendi continuo e violento che inizialmente ci diverte anche, dopo 10-15 inizia a stancarci. Siamo seduti a poppa, in uno spazio ricavato tra la sala interna e i motori. Almeno siamo all’aria aperta. Da dove è seduta, Fra vede bene l’interno e vede il personale dell’equipaggio iniziare a girare per raccogliere i sacchetti non più vuoti come alla partenza. 
Prendiamo l’action camera per filmare la scena, ma non appena proviamo a schiacciare il tasto rec ci rendiamo conto che qualcosa non quadra: ci siamo dimenticati la SD card; stiamo andando a fare sub in uno dei fondali più belli del mondo, in una delle “sette meraviglie moderne” come ha modo di ricordarci il capitano e non abbiamo nemmeno modo di farci una foto ricordo.
Continuiamo a maledirci per qualche minuto poi torniamo calmi, o meglio agitati dall’oceano.
Dopo un’ora di centrifuga non resisto più e approfitto del bagno di fronte a me per liberarmi dalla colazione. Riesco a centrare abbastanza bene il gabinetto, ringrazio il fatto che il bagno sia strettissimo perché anche così non faccio altro che sbattere da una parte all’altra, desisto dal proposito di fare pipì e torno a sedermi. Fra invece resiste abbastanza bene.
La lavatrice si spegne non appena entriamo nell’atollo, un’ora e mezza circa dopo la partenza dal porto. 
Lady Musgrave
Il colore dell’acqua attorno a noi cambia repentinamente dal blu al celeste vivo alternato a delle enormi macchie che si ergono dal fondale sino ad arrivare quasi alla superficie: coralli.
Siamo arrivati a Lady Musgrave, nella barriera corallina esterna, l’ ‘’outer reef’’ a circa 65 km dalla costa continentale. L’isola venne scoperta nel 1803 e sul finire del XIX venne utilizzata come miniera di guano. Qualche “illuminato” provò a far funzionare un resort di lusso negli anni 30, operazione miseramente e fortunatamente fallita. Oggi di quel resort non rimane nulla e l’isola è ricoperta dalla vegetazione che forma un fitto bosco. L’unica intrusione umana è rappresentata dall’introduzione di uccelli simili a quaglie da parte dei minatori di guano che evidentemente si erano stancati di una dieta basata esclusivamente sul pesce.
All’interno dell’atollo la compagnia organizzatrice dispone di un piccolo pontile al quale abbiamo immediatamente attraccato. Siamo quindi stati smistati in diversi gruppi e per prima cosa siamo stati portati a fare una passeggiata sull’isola. Appena sbarcati la prima sorpresa. Ad attenderci sulla spiaggia non c’è sabbia ma miliardi di frammenti di corallo e conchiglie di tutte le dimensioni: l’isola è di fatto parte stessa della barriera in quanto formata da un accumulo emerso di materiale corallino. La guida ci invita a raccogliere e analizzare il materiale che troviamo sotto ai piedi, ma ci pone il divieto categorico di intascarci qualsivoglia “reperto”. La consistenza e il suono dei coralli somiglia più al vetro che alla pietra vera e propria. 
L’isola è piena di uccelli di vario tipo e appare facile capire come mai fosse stata utilizzata in passato come fonte di guano.
Sbuchiamo nel lato opposto della foresta e torniamo al punto di partenza passeggiando sulla spiaggia. La guida ci mostra tracce fresche delle tartarughe marine che hanno percorso i pochi metri tra la riva e l’inizio della vegetazione per deporre le loro uova. 
A pochi metri dalla riva riusciamo a intravedere una razza che si muove sinuosa sott’acqua e una coppia di innocui squali toro. 
Veniamo quindi imbarcati su di una chiatta col fondo vetrato dove un’altra guida ha modo di portarci nei punti più interessanti dell’atollo e di permetterci di osservare in maniera nitida cosa si cela sotto il pelo dell’acqua. Ci si apre un mondo di animali, vegetazione e colori visti solo in qualche documentario. Avvistiamo anche alcune tartarughe che nuotano poco lontane: alcune a pelo d’acqua, con la testa e parte del guscio fuori; altre invece sono a pochi metri di profondità, nei pressi delle pareti di corallo.
Ci riportano sul pontile che è già ora di pranzo. Riempiamo il piatto e notiamo che il menù non è poi tanto diverso da quello della precedente escursione nella barriera. Ce ne facciamo una ragione e mangiamo comunque, anche abbastanza in fretta perché è ora di avventurarsi davvero sott’acqua.
Tartaruga - Lady Musgrave
Indossiamo le mute, scegliamo le pinne e la maschera da delle grandi vasche divise per taglia; l’istruttore di scuba diving ci spiega alcune basilari cose da sapere prima di tuffarci: linguaggio dei segni, utilizzo del regolatore, decompressione delle orecchie. 
Mancano solo la cintura con i pesi e la bombola e ci tuffiamo. Ci viene detto di mettere la testa sotto e di iniziare ad abituarci alla strana sensazione di poter inspirare nell’acqua. Sotto di noi e attorno vediamo mille pesci di tutte le forme e colori.
L’istruttore viene quindi da ciascuno di noi e ci chiede se è tutto ok. Tutti diciamo di si e allora comincia a farci scendere. Fa uscire l’aria dal giubbino sul quale è ancorata la bombola e a uno a uno scompariamo. In realtà siamo solo 2-3 metri sotto. Ci indica di appenderci a una corda e di continuare a respirare. Ma qualcosa non va. Non riesco, ho la sensazione di non avere più aria e inizio a respirare veloce, troppo veloce. In tre, quattro gambate sono di nuovo sopra. Tolgo il regolatore dalla bocca e respiro a pieni polmoni l’aria vera. L’istruttore mi raggiunge, mi chiede se è tutto ok. Gli spiego e mi dice di riprovare e di stare calmo. Riprovo. Niente. Sono ancora fuori a cercare quell’aria e quell’ossigeno che mi sembra di non poter avere alcuni metri più giù. L’istruttore mi raggiunge di nuovo, mi dice che gli altri sono pronti, gli faccio segno di andare. Mi dice di stare vicino al pontile. Fra mi raggiunge e mi chiede se è tutto ok. Le faccio segno di non preoccuparsi e di raggiungere gli altri. Metto la testa sotto, il regolatore in bocca e riprendo a respirare, a far capire al mio corpo che ha già l’aria di cui ha bisogno. Vedo il gruppetto scendere ancora un po’ e allontanarsi velocemente verso un banco di coralli. 
Io continuo a stare sotto. L’inspirazione comincia a sembrarmi più spontanea e naturale. Comincio a sentirmi uno stupido per non esserci riuscito, per aver sprecato l’occasione di vedere la barriera. Rimango sotto. Attorno a me decine di cinesi con le loro mascherine si tuffano e riemergono per prendere aria. Io sto sotto e continuo a respirare. Dopo circa una mezzora il gruppo torna.
L’istruttore mi chiede se è tutto ok. Faccio senno di sì con la testa. Mi dice che posso riprovare col gruppo dopo. Stavolta ce la devo fare. Sono rimasto sotto parecchi minuti e non ho avuto problemi. Fra mi spiega che posso togliere il regolatore ogni volta che voglio e la cosa mi facilita non poco. L’avere quel malloppo di cosa in bocca contribuisce in maniera importante a darmi la sensazione di soffocamento. Rivado sotto provo a toglierlo e rimetterlo in bocca. Tutto ok. 
Faccio il segno di ok all’istruttore che mi manda giù. Iniziamo a muoverci, ci avviciniamo al banco di coralli. I pesci sembrano non preoccuparsi della nostra presenza e nuotano a poche decine di centimetri da noi. Provare a descriverli sarebbe un’impresa improba e comunque inutile perché non troverei il modo di rendere per parole la meraviglia dell’ambiente. Coralli blu, coralli gialli, il cosiddetto “brain coral” per la sua caratteristica forma di cervello. Dalle ‘’pareti’’ di corallo, escono e rientrano i pesci, a loro agio tra i mille nascondigli della vegetazione; i raggi del sole filtrati dall’acqua, fanno brillare i colori delle fantasie a righe o a chiazze delle squame e rendono il fondale ancora più acceso e vivace. 
Tolgo il regolatore una volta, una seconda, poi sento di non averne più bisogno e mi preoccupo solo di guardarmi attorno e di godere a pieno della sensazione di essere sott’acqua. La mezzora passa troppo in fretta. L’istruttore ci fa segno di tornare al pontile.
Riemergo, Fra era rimasta in zona a fare snorkeling con la maschera e mi aveva seguito per un un po’. Sono rimasti alcuni minuti anche per me e ne approfitto. Tengo la maschera e le pinne e mi rituffo. 
Un quarto d’ora dopo siamo di nuovo a bordo della “Spirit of 1770” pronti a tornare a terra. Ci spiegano che il viaggio di rientro sarà molto più agevole dell’andata in quanto andremo con la corrente a favore. Inoltre notiamo subito che le onde si sono comunque calmate. 
Appena usciti dall’atollo alcuni delfini vengono a farci compagnia e a saltarci attorno sulla scia della barca. Rimangono con noi per alcuni minuti, poi scompaiono tra le onde.
Occupiamo il viaggio del rientro a riempirci di salatini e formaggio, arriviamo al porto che siamo pieni. Riprendiamo la via per l’ostello e decidiamo di starci una notte in più perché ormai sta per far buio e non abbiamo voglia di viaggiare. 
Durante la cena sentiamo un ragazzo accanto a noi parlare di surf. Scopriamo che è istruttore e che se vogliamo il giorno dopo possiamo andare a fare la nostra prima lezione. 
Ci prenotiamo, ci spiega i particolari e il fatto che verrà a prenderci direttamente all’accomodation. 
Ci diamo appuntamento per la mattina dopo e andiamo a letto stanchissimi ma una volta di più con la voglia di svegliarci presto l’indomani.

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