Melbourne

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martedì 17 marzo 2015

GIORNO 37 - IL PARLAMENTO AUSTRALIANO

GIORNO: 12/03/15
STATO: NEW SOUTH WALES
KM GIORNALIERI: 385 km
PARTITI DA: Canberra
ARRIVATI A: Albury

Si vede dall’ora in cui ci stiamo alzando ultimamente, che non c’è più il caldo a svegliarci alle 6. Con tanto relax, alle 9 e mezza facciamo colazione; e ancora con tutta la calma del mondo, alle 10 e 20 siamo fuori dal parlamento, per dare un motivo alla sosta qui a Canberra. Alle 11 c’è proprio un tour gratuito all’interno di tutta la struttura e ne approfittiamo. Prima di entrare però, prendiamo un po’ di tempo per prendere in giro, ancora una volta, la storicità degli edifici australiani. 
Il parlamento sorge all’interno di due strade circolari, in mezzo ad un enorme prato verde in una collinetta che ne accentua l’importanza. Un’enorme strada fatta di giardini, lo unisce al ‘’vecchio’’ parlamento. L’ingresso principale, a testimoniare il fatto che in Australia non hanno di certo problemi di spazio, una ‘’fontana-laghetto’’ con una profondità di 2 cm d’acqua, avvolta da una larga passerella in cemento. Prato verde curatissimo tutto attorno. 
Nel tetto, quattro tubi di acciaio si uniscono per reggere la bandiera australiana. Guardie in ogni dove, telecamere non ne parliamo. All’ingresso i metal detector come in aeroporto e finalmente entriamo. Ci ricordano che alle 11 ci sarà la visita guidata e sfruttiamo il tempo mancante per andare a firmare e quindi avere il nostro pass, e a curiosare nel ‘’Parliament shop’’ i vari souvenir. 
La prima tappa del tour è la Great Hall, una vastissima sala, vuota, pronta ad accogliere riunioni con elevati numeri di partecipanti. Niente di che. Tra il casino dei bambini, cerchiamo di ascoltare ciò che la guida ha di dire riguardo la costruzione dell’edificio, la storia di Canberra e quindi alcuni dettagli da contorno. L’edificio in cui ci troviamo venne costruito nel lontanissimo 1988. Ci accomodiamo poi nelle poltrone di un’altra sala, la House of Representatives, corrispondente alla Camera italiana. Il colore predominante è il verde, dalle poltrone al pavimento, alle pareti; l’altro è il marrone del legno. I banconi formano la classica mezza ellisse e si sviluppano attorno ad un tavolone centrale; a capo di questo, una poltrona di notevoli dimensioni è destinata allo speaker. La sala è circondata da telecamera professionali per le riprese da tv e file di poltrone, di qualità minore ovviamente, delimitano la sala in tre dei quattro lati, e sono destinate agli ospiti. La camera del senato è pressoché identica; la differenza sostanziale è il colore predominante. Questa volta è tutto orientato sul rosso: di nuovo le imbottiture delle poltrone, le pareti, il pavimento. 
Tutto fuorché le insegne delle uscite di sicurezza. In realtà una di queste si differenzia dalle altre e lo sfondo della scritta EXIT non è verde come la legge vuole bensì rosso. Nil, la nostra guida, ce ne spiega il motivo. Pare che i senatori, durante l’ultimazione della sala, avessero fatto notare ai costruttori la presenza di un errore. Nessuno riusciva a trovarlo. L’errore era proprio il fatto che, nella camera ‘’rossa’’ fossero presenti degli elementi verdi, le insegne delle uscite di sicurezza. I costruttori spiegarono che era obbligo di legge che le uscite di sicurezza fossero indicate con il verde. Il senato allora decise di riunirsi per deliberare un'eccezione alla legge solo per quella specifica sala. Tutto ciò per rimarcare la rivalità tra senatori e deputati, fieri della loro posizione a tal punto di chiamarsi reciprocamente ‘’quelli la’’ piuttosto che con l’effettiva denominazione.
Nonostante il tour sia finito, bazzichiamo ancora dentro il Parlamento e prendiamo l’ascensore per salire sul tetto. La vista è molto carina ed è possibile osservare la città sia dal retro della struttura che frontalmente. I balconi sono infatti lungo tutto il perimetro, o quasi, dell’edificio; da uno in particolare è possibile osservare Canberra nuovamente con il gioco di simmetria che anche il belvedere nella montagna ci ha offerto ieri. Di fronte alla ringhiera che delimita la passerella nel tetto, nella parte della facciata, diparte un prato verde che ripidamente si congiunge a quello dell’ingresso, al piano terra. Da quassù ancora una volta si vede il vecchio Parlamento: struttura più semplice, facciata totalmente bianca e liscia. 
Ci concediamo ancora qualche giro interno al palazzo, curiosando tra quadri e pannelli illustrativi e abbandoniamo il Parlamento per qualcosa di meno interessante ma altrettanto importante: la doccia. Torniamo quindi al centro informazioni, scrocchiamo per la seconda volta il bagno meraviglioso e poi entriamo dentro. CI accomodiamo nei tavolini, connettiamo il possibile immaginabile alle prese di corrente gentilmente fornite e ci colleghiamo al WI-Fi, ancora una volta veloce e gratis. Ah, non finiremo mai di ringraziare e vantare Canberra. 
Lasciamo l’Australian Capital Territory dopo pranzo e nel giro di un centinaio di km siamo di nuovo nel nostro caro Victoria, ma ancora lontani da Melbourne.

GIORNO 36 - TRA I DUE LITIGANTI... IL TERZO GODE!

GIORNO: 11/03/15
STATO: NEW SOUTH WALES - ACT
KM GIORNALIERI: 325 km 
PARTITI DA: Sydney
ARRIVATI A: Canberra

Giornata noiosa esclusivamente dedicata a viaggiare. Abbiamo ormai finito il viaggio ed è ora di pensare come muoverci una volta arrivati a Melbourne. Anzi, a dire la verità le nostre menti sono già li. Ci stiamo mobilitando nel cercarci una casa e in parallelo stiamo sbrigando le faccende burocratiche del visto e contattando il datore di lavoro aggiornandola riguardo il visto stesso. Tra Sydney e Melbourne non c’è un granché da vedere, anche a Canberra a cui però dedicheremo un giorno. Tra Sydney e la capitale ci sono 325 km e oggi ce li facciamo tutti di fila e senza cambi. Ieri Gabry ha guidato nelle Blue Mountains e ci siamo dimenticati di darci il cambio, quindi oggi tocca a me. La strada è noiosissima, ad eccezione del primo tratto in cui le montagne sono divise da profonde gole e corsi d’acqua molto particolari. Per il resto, solamente campi e alberi. Dopo 3-4 noiosissime ore siamo a Canberra ed è ora di pranzo. L’applicazione ci suggerisce un posto con dei tavolini in cima ad un monte, dal quale si vede la città nella sua interezza. Facciamo le salite ai 30 all’ora, ma riusciamo comunque a raggiungere la cima, a circa 800 metri di altezza, come indica un cartello. 
La vista è veramente molto bella: il balcone del belvedere è posizionato in maniera tale da essere perfettamente frontali e centrali alla lunga strada principale che porta al Parlamento. Da questo parte poi un’altra strada alberata e formata da giardini che lo congiungono al vecchio parlamento. Dall’alto si intuisce una simmetria impeccabile. Scattiamo qualche foto ma non rimaniamo per pranzo; i tavoli sono tutti al sole ed è pieno di coccinelle che volano e ci si attaccano addosso senza nessuna intenzione di mollarci. Tentiamo un altro parco ma qua non ci convince la lontananza dai tavolini e allora ce ne andiamo anche da qui. Terza scelta, quella definitiva, è un parco vicino al fiume; i tavolini finalmente vanno bene. Ci accomodiamo all’ombra e ci gustiamo due panini con tonno pomodoro e sottiletta. Non abbiamo voglia di fare niente, e allora facciamo niente. 
Si è fatto ‘’tardi’’, sono le 4 e mezza e le docce gratuite chiudono alle 5. Si tratta del centro informazioni di Canberra, all’interno del quale c’è il Wi-Fi gratuito ed un bagno con una doccia con acqua calda, ancora gratuito. La doccia è meravigliosa, sembra di essere in una casa, ma abbiamo poco tempo e allora non facciamo gli incivili e ci diamo una mossa. Fuori dal centro informazioni, altri van come il nostro sono parcheggiati; tutti sanno di questa doccia, tutti ne usufruiscono. Siamo molto grati nei confronti di Canberra e abbiamo deciso che ci sta molto simpatica, proprio perchè sembra consapevole della poca importanza che le viene data. Sembra quasi voglia attrarre turisti regalando loro ciò di cui hanno più bisogno: una bella doccia calda e gratuita, il Wi-Fi, dei parcheggi nella quale dormire senza pagare, in cui non ci sia il cartello ‘’no camping’’ che ti fa sentire troppo illegale. E in effetti questa città si è guadagnata un bel 10, da questo punto di vista. Un po’ meno come attrazioni, in quanto rimane nonostante tutto una città vuota. Si certo, c’è il Parlamento, ma il sapere si tratti di una città nata esclusivamente per essere Capitale per non dover scegliere tra Melbourne e Sydney, ne conferma il ruolo di ‘’alternativa forzata’’. 
E’ una giornata all’insegna del dolce far nulla, quindi ci impegniamo affinché rimanga tale e andiamo a scroccare il Wi-Fi alla biblioteca. Ci accomodiamo nei divanetti, colleghiamo il computer alla presa e sistemiamo le foto, cerchiamo case, cazzeggiamo. 
Alle 8 la library chiude e andiamo a cercare un posto in cui passare la notte.

GIORNO 35 - BLUE MOUNTAINS E LA NOTTE ALL'OPERA

GIORNO: 10/03/15
STATO: NEW SOUTH WALES
KM GIORNALIERI: 320 km
PARTITI DA: Sydney
ARRIVATI A: Blue Mountains - Sydney

Per la seconda volta, dobbiamo la doccia del giorno alla Montessori. Questa volta la scuola adiacente agli spogliatoi non è chiusa e c’è qualche genitore che ancora vi ci accompagna il figlio. Ma a noi la doccia serve e ci intrufoliamo lo stesso. In silenzio e in fretta, ci laviamo e abbandoniamo il parco fingendoci degli sportivi che hanno utilizzato i bagni per darsi una rinfrescata dopo la corsa. 
La giornata di oggi è dedicata alle Blue Mountains, le famose montagne situate nella parte sud-est di Sydney, patrimonio dell’umanità dal 2000. Pare che il nome derivi dal fatto che gli eucalipti, fortemente presenti, stillino gocce di olio blu. Le Blue Mountains non sono lontane da Sydney, inoltre la strada non è altro che un percorso circolare attorno alle montagne che permette di non percorrere la stessa strada nella via del ritorno. Il giro completo è appunto di circa 300 km e per fortuna si tratta al 90% di una superstrada. Purtroppo la giornata non è delle migliori e fin da subito ci accorgiamo che la visibilità non è tale da godere appieno dei panorami; ma abbiamo solamente questa giornata a disposizione e ce ne faremo una ragione. Andare a vedere le Blue Mountains è in effetti uno sfizio; sono tra gli Highlights di Sydney e ci scoccia non andare a vederle, ma a dirla tutta, di montagne e belvedere e cascate ne abbiamo le tasche piene. I panorami sono concentrati tutti nel primo tratto di strada; ne by-passiamo alcuni perchè ritenuti poco interessanti e andiamo verso le ‘’Three Sisters’’. Parcheggio a pagamento ovunque e neanche economico. Il cielo fa schifo, non c’è posteggio gratuito, non abbiamo voglia né di camminare né di perdere tempo.
Siamo talmente scazzati che decidiamo, pur di non regalare dollari al parchimetro, di fare i turni per andare a vedere quelle cavolo di Three Sisters. Il panorama è in realtà molto bello, ma le tre sorelle non sono altro che tre speroni di roccia lì a un lato. Proseguiamo la ‘’Tourist Drive’’ e ci accontentiamo di godere dei paesaggi attraverso i finestrini, seduti. Non c’è cosa più bella. La prossima tappa sono delle cascate. Ne avremmo visto qualcosa come 4-5 in tutto il viaggio, ma diamo loro una chance. Pessima idea. Due rubinetti che perdono fanno più acqua. C’è da dire però che anche questo paesaggio merita un 7 e mezzo. Davanti a noi, una funivia da una cabina, trasporta una ventina di persone da un capo all’altro della montagna, a chissà quante centinaia di metri da terra. Proseguiamo il nostro percorso (abbiamo scelto quello più veloce e corto) e nell’arco di un quarto d’ora siamo di nuovo al punto di partenza. Lasciamo le deludenti Katoomba falls e ci immettiamo nuovamente della Highway. Senza tante difficoltà troviamo un parco e finiamo gli avanzi della pizza di ieri, riempiamo l’acqua, ci rilassiamo e di nuovo siamo in strada, già in direzione Sydney. Saranno poco o più le 3 e fiduciosi di essere in città in un’oretta e mezza, mettiamo un cd e impostiamo il navigatore. 
Traffico, traffico a non finire. Km percorsi a passo d’uomo, la pazienza che inizia a svanire. Il piede è stanco di premere l’acceleratore e il freno e la discografia dei Coldplay sta per finire.
Siamo a Sydney alle 6 e mezza ma vogliamo andare alla Library ad usare un po’ il Wi-Fi. E così facciamo. Troviamo un parcheggio custodito a 10 dollari che è quasi un miraggio e passiamo un’ora abbondante tra i libri e il silenzio. 
Una voce comunica la chiusura della biblioteca e tutti, anche in anticipo, abbandonano la sala ed escono come suggerito. Noi siamo i penultimi. 
Siccome è passato troppo tempo dall’ultimo panino che abbiamo mangiato, anche oggi sarà la nostra cena. E siccome lo stomaco brontola, prima di fare qualsiasi altra cosa, cerchiamo un economico locale dove ordinare un Hamburger. 
Scelta niente male. Il locale, probabilmente di nuova apertura, è arredato solamente con pallet e alcuni cuscini. L’ambiente è molto minimale ma accogliente. Una buona musica e pochi clienti aiutano a creare un clima di relax. L’hamburger è ottimo ed è accompagnato da una porzione di patatine e acqua e limonata sono gratuite. 
La pancia è piena. Siamo ‘’pronti’’ a camminare. Ancora una volta, andiamo all’Opera House. Anche da vicino conferma il suo fascino. 
Il gioco di luci ne accentua le curve delle sue ‘’Shells’’, ossia dei gusci. Passiamo il tempo a cercare la giusta inquadratura, a scegliere una bella composizione. 
Ci consigliamo e aiutiamo tra di noi prima di scattare la foto. L’idea è di avere foto da ogni visuale ed angolatura. Così passeggiamo attorno all’Opera, prima al suo lato sinistro, quello che si affaccia sul ponte e poi man mano verso il destro, per una composizione totalmente diversa. E’ uno spettacolo. Nello schermo della fotocamera ci divertiamo a giocare con le geometrie create dalle ‘’vele’’, che poi appunto vele non sono. Intanto l’Opera dev’essere conclusa e un fiume di gente esce dal teatro, tutti elegantemente vestiti, chi più chi meno. C’è un po’ di invidia dentro di noi, ma andare ad assistere ad una rappresentazione teatrale sarebbe stato impossibile più per questioni di prenotazione che di costo del biglietto. Scattiamo non so quante foto. Ormai conosciamo bene la struttura da poterla disegnare. Questo non è proprio vero, considerando le nostre abilità, ma sicuramente non ce la dimenticheremo facilmente. Salutiamo anche la Sydney di notte, chiedendoci se mai nella vita la rivedremo e passeggiando tra i palazzi torniamo al parcheggio e di nuovo cerchiamo un posto in cui andare a dormire stanotte. 




GIORNO 34 - L'OPERA, LA PIZZA E I VANI TENTATIVI DI PESCA

GIORNO: 09/03/15
STATO: NEW SOUTH WALES
KM GIORNALIERI: 41km
PARTITI DA: Sydney
ARRIVATI A: Sydney

Ci risvegliamo abbastanza ricaricati. Abbiamo deciso di girarci per bene il centro di Sydney oggi, e memori degli improbabili prezzi dei parcheggi, decidiamo di parcheggiare gratuitamente alla prima stazione che troviamo, poco lontano da dove abbiamo dormito, e di prendere un treno.
In poco più di mezz’ora siamo in city. Sbagliamo fermata, scendiamo a Kings Cross e ci ritroviamo in un quartierino carino ma già oltre il centro, riprendiamo il treno in direzione opposta e stavolta scendiamo nel posto giusto, Town Hall. 
Studiamo un po’ la cartina e decidiamo di camminare in direzione Opera House, attraversando quindi la città da sud verso nord. Superiamo una prima piazza con una grande fontana al centro dalla quale riusciamo ad avere un ottima visione della Sky Tower, poi entriamo nei giardini del Domain, all’interno dei quali troviamo la “New South Wales Art Gallery”. Decidiamo di entrare con delle aspettative piuttosto basse che vengono per fortuna smentite. La collezione, nonostante di piccole dimensioni, annovera al suo interno degli importanti quadri di epoca rinascimentale e barocca, nonché una sezione dedicata ai movimenti artistici di fine 800 e 900 con lavori di Monet e Picasso tra gli altri.
Nel piano inferiore abbiamo avuto modo di osservare una ben fornita mostra dedicata all’arte orientale affrontata in maniera volutamente diacronica. Molto interessante vedere la continuità ma allo stesso modo il contrasto nella raffigurazione del Buddha attraverso i secoli.
L’ultima parte della mostra è occupata invece dalla cultura dei samurai, con la spiegazione dei diversi modelli di katana, degli abiti e degli usi. 
Nel piano di sopra troviamo l’esibizione dei lavori degli studenti degli istituti d’arte dello Stato, con la spiegazione fatta da ciascuno di come si sia arrivati dalla prima fase artistica del concetto alla sua realizzazione pratica.
Usciamo dalla galleria d’arte e ci dirigiamo verso la Public Library, poco distante, più per un genuino scrocco di aria condizionata e Wi-Fi che per un reale interesse. La library si presenta come un bel edificio, ben curato e tenuto, ma effettivamente poco interessante per contenuti. 
Passiamo circa un’ora e mezza a rinfrescarci, a sistemare post per il blog e a cercare qualche casa per il nostro ritorno a Melbourne. 
Verso le 2 la fame ci spinge a cercare qualcosa di diverso, ci accontentiamo di un veloce panino da fast food e andiamo verso l’Opera.
Lungo la passeggiata per arrivare all’edificio vediamo numerosissimi bar, ristoranti, negozi blasonati. Passiamo nella parte interna, ombreggiata, e arriviamo esattamente al di sotto dell’entrata. Troviamo un negozio di souvenir, ci passiamo una decina di minuti poi decidiamo di andare a vedere se è possibile farsi un giro a scrocco. Falliamo un tentativo di imbucata e decidiamo di pagare per il tour guidato. Mezzora dopo siamo in fila assieme agli altri pronti a goderci la nostra visita. Veniamo uno per volta messi davanti a un telo verde dove veniamo fotografati per dar modo alla fotografa di sbizzarrirsi nell’ambientarci di volta in volta, stessa posa e stessa espressione, in diversi posti dell’Opera.
Ci viene quindi consegnato un ricevitore radio con delle cuffiette usa e getta. La guida parlerà al microfono e tutti noi potremo sentire le sue spiegazioni a prescindere dalla distanza alla quale ci troveremo. Una buona idea, anche se a volte la ricezione è un po’ carente. 
La guida ci porta di fretta verso la sala dove si svolgono le rappresentazioni operistiche. E’ infatti in programma il “Faust” per le 6, sono quasi le 5 e abbiamo poco tempo per poter dare un’occhiata.
Dopo di ché torniamo al tour programmato. Ci viene per prima cosa fatto vedere un primo video dove ci viene raccontata la prima parte della storia dell’Opera, il precedente utilizzo del piccolo lembo di terra sul quale la struttura giace, il concorso per idee destinato alla realizzazione di un teatro e di come il progetto che venne poi realizzato ebbe la meglio su tanti altri progetti presentati.
La cosa che più caratterizzò il progetto del danese Utzon fu il fatto di aver deciso di posizionare le due sale richieste dal concorso non una davanti all’altra, ma una di fianco all’altra nonostante il poco spazio disponibile. A fare da copertura alle due sale gli iconici gusci di conchiglia chiusi verso l’alto. 

Siamo quindi entrati nella Concert Hall, tra le cinque sale la più grande, utilizzata oltre che per la classica anche per concerti di vario genere, oltre che per eventi poco attinenti come incontri di boxe o spettacoli circensi. Particolarità della sala è quella di essere completamente rimodellabile a seconda delle necessità grazie ai sedili amovibili. Passando per la parte posteriore dell’edificio, affacciata sulla baia, scendiamo quindi al di sotto delle due grandi sale, dove sono appunto presenti le altre tre di dimensioni minori. Ci viene proiettato un secondo video dal quale impariamo la seconda parte della storia, dei problemi di realizzazione dovuti alle difficoltà statiche, alle necessità di revisione del progetto iniziale per trovare una soluzione che fosse al contempo aderente al concetto originale e praticamente realizzabile, dell’aumento esponenziale dei costi previsti e di come l’architetto danese venne liquidato e l’opera portata a termine da un diverso gruppo di lavoro. I tre anni inizialmente previsti per la realizzazione divennero nel mentre sedici, ma infine l’Opera venne inaugurata nel 1973 alla presenza della regina Elisabetta. Nonostante i rapporti con Utzer siano col tempo migliorati, l’architetto non tornò mai a vedere realizzato il suo lavoro, opera che gli valse importantissimi riconoscimenti, tra i quali (unico edificio così recente e con l’ideatore ancora in vita) l’inserimento tra i patrimoni dell’umanità nel 2007.
Veniamo portati nella più piccola, chiamata “The Studio” in quanto utilizzata per parecchio tempo come studio di registrazione. Oggi offre un ambiente intimo e riservato, ottimo per piccoli concerti , magari acustici o per comedy show. Al centro della sala un bancone in legno dal doppio utilizzo: bar prima dello show, parte integrante del palco durante lo spettacolo.
All’uscita dallo studio ci attende sorridente la fotografa con i suoi libercoli di dubbio gusto. Decliniamo gentilmente l’offerta e andiamo verso l’uscita. 
Oggi per cena ci concediamo uno sfizio. Siamo stufi della solita pasta e dei panini e allora cerchiamo una pizzeria. Ma siamo viziati e vogliamo andare sul sicuro e ci facciamo aiutare sul gruppo di Facebook ‘’Italiani a Sydney’’. Arrivano commenti a palate su quale sia la pizzeria migliore a Sydney, ma scegliamo di affidarci al commento di una ragazza che ci suggerisce di andare da Sale e Pepe. Il personale è sardo. Nonostante si trovi all’altra parte della città e quindi ad almeno 40 minuti dalla macchina, andiamo lì. 
Insomma senza stare lì a descrivere i dettagli, ci gustiamo una Sarda e una San Daniele, scambiamo due chiacchiere con la cameriera e presto siamo di nuovo nel van. Dobbiamo ancora capire dove andare a dormire. Apriamo Wikicamps, individuiamo un posto più o meno fattibile e ci andiamo. Nemmeno 5 minuti che siamo parcheggiati li, che passa una macchina della polizia a controllare il posto. Non ci fidiamo sul fatto che passino dritti senza fermarci, allora facciamo finta di esser li non per dormire ma per pescare. Uno prende la canna da pesca e l’occorrente, l’altra il cavalletto e la fotocamera, per destare ancora meno sospetti. La polizia si allontana ma ne approfittiamo per cazzeggiare tentando di prendere qualche pesce e scattando qualche foto. Passa mezz’ora. Niente pesci, niente polizia. Solamente una grande quantità di alghe attaccate all'amo.
 Sistemiamo il letto e ci corichiamo, e chi si è visto si è visto. 

giovedì 12 marzo 2015

GIORNI 32 - 33 - DA BYRON A SYDNEY

GIORNO: 07-08/03/15
STATO: NEW SOUTH WALES
KM GIORNALIERI: 560 + 348
PARTITI DA: Byron Bay
ARRIVATI A: Seal Rocks - Sydney

Stamattina ce la siamo presi proprio comoda; alle 9 siamo ancora a letto. Dobbiamo ancora decidere cosa fare in tutto il giorno e non sappiamo cosa ci sia da vedere proseguendo verso sud. Qualche ricerca e capiamo che c’è ben poco. A Sydney mancano più di 800 km e dobbiamo essere a Melbourne entro 8 giorni. Decidiamo di metterci in viaggio il prima possibile e guidare finché ne abbiamo voglia. Passiamo 5 minuti al ristorante dove abbiamo mangiato ieri sera e salutiamo nuovamente Mirko e ancora lo ringraziamo per la cena. Alle 11 iniziamo il lungo viaggio; è tanto che non stiamo in macchina per più di 300 km. 
Il pranzo è a base di Ritz e formaggio spalmabile, in una piazzola ai lati della strada, al cambio autista. Facciamo la prima ed unica vera e propria sosta dopo 420 km a Port Macquarie. Ci sgranchiamo le gambe al supermercato dove compriamo il pane e un po’ di carne, i succhi di frutta e la marmellata per la colazione e delle patatine per un eventuale spuntino. Riprendiamo a guidare che sono le 17 e impostiamo la destinazione a Seal Rocks, località a poco o più di 230 km da Sydney. A tenerci compagnia nelle casse oggi ci sono Eminem, gli articolo 31 e i 99 posse. Chi non guida, occupa il tempo scrivendo i post al computer e dando le indicazioni stradali all’altro. 
L’unica attrazione che ci si è presentata durante il tragitto è stata una banana gigante sul tetto di un locale. 
Seal Rocks è una località di mare, di mare in senso che è proprio sulla spiaggia. Per arrivarci abbiamo costeggiato e attraversato alcuni laghi e per un bel tratto alla nostra sinistra c’era l’oceano a pochi metri e i laghi sulla destra altrettanto vicini. Arriviamo a Seal Rocks che ormai è buio ma si intuisce che il posto sia molto carino e in una posizione interessante. L’aria è fresca ma parecchio umida, la spiaggia è infatti a qualche decina di metri da noi. All’insegna dell’avarizia, ci parcheggiamo fuori da un campeggio, davanti a dei bagni pubblici, così come suggerito da qualcuno su Wikicamps. 
Solamente 350 km ci separano da Sydney, dovremmo arrivarci in mattinata. Abituati ormai a distanze più lunghe, li facciamo tutti di fila concedendoci solamente 5 minuti al cambio autista. Già ad una trentina di km dal suo centro, siamo ufficialmente a Sydney. Nulla di diverso da Melbourne o da altre grandi città come Brisbane; i suburbs (i sobborghi) si susseguono ininterrottamente lungo il tragitto: aree residenziali, aree commerciali e fast food a non finire. Anche oggi il primo desiderio della giornata è farsi una doccia, quindi accantoniamo momentaneamente la foga di andare in centro a girare e ci cerchiamo un bagno pubblico. Wikicamps ce ne segnala due che potrebbero fare al caso nostro e ci rechiamo in quello più vicino. Il problema è che una volta che raggiungiamo il punto indicato sulla mappa, ci ritroviamo al centro di un caotico quartiere di negozi, prevalentemente cinesi (o quello che è) e una continua massa di gente che attraversa freneticamente i marciapiedi. Facciamo il giro dell’isolato e scappiamo dalla folla e dal traffico intenso, per tentare il secondo posto suggerito. Non poteva capitarci di meglio: la suola Montessori con il suo parco e i suoi spogliatoi. Per fortuna in Australia lasciano tutto aperto, anche il parco della scuola, anche oggi che è domenica. Con tutta la tranquillità e la felicità di questo mondo, ci concediamo una bella doccia calda e gratis. Aaaah! Rigenerati e profumati! Ora è lo stomaco che brontola. In frigo c’è un po’ di carne da far fuori, ci serve un barbecue, di certo non un problema trovarlo. Ancora una volta è wikicamps che lo fa per noi. E’ una giornata nuvolosa oggi, ma la vista che ci regala il parco dove passiamo l’ora di pranzo, è impeccabile. E’ la prima visuale di Sydney, o meglio una parte, di cui abbiamo modo di godere e che ci fa assaporare ancora una volta l’aria di città. Non siamo dal lato classico da cartolina dell’Opera House e del ponte, ma intravediamo quest’ultimo alla nostra sinistra. Iniziamo a capire che Sydney ha un porto fantastico ed ‘ proprio il modo in cui si affaccia sull’acqua che la caratterizza. Non sono di certo i suoi grattacieli a renderla unica. Ci rilassiamo sui tavolini, scattiamo ovviamente alcune foto e siamo belli carichi per andare a vedere da più vicino la più importante meta dei turisti qua in Australia. 
Per ora poco abbiamo capito della planimetria della città; ci è chiaro però che c’è una ‘’North Sydney’’ e quindi la CBD nella parte a sud. Scontato dirlo, queste due parti sono legate principalmente dal maestoso Harbor Bridge. Per poter spillarci fino all’ultimo centesimo, il sindaco di Sydney ha deciso di rendere la traversata del ponte a pagamento; ma si potrebbe mai andare via senza attraversarlo almeno una volta!? Assolutamente no! Navigatore impostato, action camera posizionata al centro del cruscotto, fotocamera in mano e via verso il ponte. Siamo davanti ad una marea di tubi in ferro e strutture incrociate fra di loro che si susseguono senza fine; la strada, sette corsie in tutto, è affiancata dai binari del treno e dal passaggio pedonale. Stiamo andando ai 70 km/h quindi dobbiamo guardare velocemente a sinistra, a destra ma sopratutto in alto, parte più difficile. Dall’altra parte ad attenderci la City, i grattacieli. Giriamo verso sinistra, ci inoltriamo attraverso i palazzi alla ricerca della perla di Sydney, dal ponte non siamo riusciti a vederla a causa delle alte recinzioni laterali. Giriamo un po’ a vuoto e poi riusciamo a incanalarci nella strada giusta, la percorriamo per intero e l’Opera House si svela ai nostri occhi, con le sue conchiglie chiuse verso l’alto a formare incredibili geometrie e simmetrie. Una meraviglia per gli occhi incastonata nella bellissima baia a pochi metri dal ponte. Proviamo a parcheggiare nell’”Opera House Parking”, ma il nostro portafoglio non ne vuole sapere di sborsare le decine di dollari chieste per ogni ora di sosta (si parla di un max di 79$ per tre ore). Decidiamo allora di continuare a girare per la città.
Proviamo a cercare un altro passaggio che non sia l’Harbour Bridge per tornare verso nord, dall’altra parte della baia, per avere un’immagine d’insieme della city, dell’Opera e del ponte.
Capiamo subito che ci si rimette più in carburante che in pedaggio, quindi percorriamo nuovamente il ponte e ci inoltriamo nelle stradine laterali, ancora una volta andando un po’ a fiuto, un po’ a caso. Arriviamo allo zoo, ci affacciamo. La city ci vede, l’opera anche, il ponte rimane invece coperto da un promontorio. Risaliamo nel van e ci mettiamo a cercare un varco verso l’altra parte del promontorio. Arriviamo, ma ancora non è soddisfacente. Arriviamo quindi nell’ultimo sbocco.
Stavolta siamo ai piedi del ponte che ci appare in tutta la sua grandezza. L’opera si trova perfettamente di fronte a noi. Dietro, la city. Guardiamo gli ultimi raggi di sole della giornata da questa posizione e poi cerchiamo un posto dove mangiare. Troviamo un parco con barbecue poco distante, ma ovviamente dall’altra parte della baia, quindi ripassiamo per la terza volta sul ponte, lasciamo la mancia a su sindigu de Sydney e torniamo nel lato sud. Prima di andare al parco ne approfittiamo per andare nuovamente ai piedi del ponte, stavolta dall’altro lato. La vista del ponte e dell’opera ormai illuminati da questa prospettiva è meravigliosa. Dall’altra parte della baia si accendono le luci dei grattacieli di North Sydney e del luna park sulla riva, con la sua ruota panoramica e le sue giostre.
Dopo cena decidiamo di andare a dormire, cerchiamo un posto e ci allontaniamo dal centro città. Troviamo un bel parcheggio con bagno a una decina di chilometri dalla city, un’altra roulotte e una station wagon ci fanno compagnia. Stiamo già dormendo quando veniamo svegliati di soprassalto dalle luci di una volante che si è fermata proprio a fianco al van. Dormire così non è propriamente consentito e capita che ogni tanto scattino le multe. Pensiamo che stavolta sia il nostro turno. Ci prepariamo a scendere e a provare di fornire qualche giustificazione plausibile, ma proprio mentre ne discutiamo vediamo le luci che si allontanano, girano un po’ per il parcheggio e poi rientrano sulla strada principale. Felici per il pericolo scampato ci riaddormentiamo.

lunedì 9 marzo 2015

GIORNO 31 - GLI HIPPIE, BYRON BAY E I MALLOREDDUS ALLA CAMPIDANESE

GIORNO: 06/03/15
STATO: QUEENSLAND - NEW SOUTH WALES
KM GIORNALIERI: 225 km
PARTITI DA: Chinderah 
ARRIVATI A: Byron Bay

Abbiamo oltrepassato già da qualche chilometro il confine tra il Queensland e il New South Wales ma dal momento in cui siamo passati tramite la Highway, non abbiamo avuto modo di fotografare alcun cartello di confine. Così, per avere ricordo dell’ingresso al quinto Stato visitato, torniamo indietro di pochi chilometri attraverso una strada interna e in dieci minuti siamo a Coolangatta. Passeggiamo all’interno del paesino rigorosamente dentro il van e arriviamo in cima ad una collinetta con il motore che chiede pietà. Siamo in realtà alla ricerca di una doccia ma quella che troviamo è all’aperto e la giornata non è delle migliori. E’ in realtà il primo giorno in cui pioviggina ed il cielo è coperto; accettiamo le condizioni climatiche senza lamentarci perchè fin ora è tutto andato a meraviglia e siamo riusciti ad evitarci le piogge tropicali per tutta la costa, ciclone compreso. Certo un po’ dispiace affacciarsi al lookout e scoprire che se l’aria fosse stata nitida avremmo assistito ad un qualcosa di spettacolare. In lontananza, velato dalla foschia, si scorge lo skyline della Gold Coast con la sua schiera di palazzi in riva al mare. Non è possibile nemmeno fare delle foto, perchè è già difficile identificarli ad occhio nudo. Davanti a noi, una torretta in legno ospita un cameraman e la sua mega videocamera. Giù nello spiaggione, decine e decine di surfisti cavalcano le lunghe onde del mare incazzato. C’è una competizione di surf e sta andando in onda in tv. Dall’alto ci si rende proprio conto di quanto una persona sia minuscola rispetto ad una anche delle più piccole onde. SI scambiano quattro chiacchiere con il cameraman, che vede in Gabriele un background cileno e torniamo nella parte bassa di Coolangatta dove abbiamo intravisto poco prima un monumento dedicato al confine dei due stati. Saltelliamo per un po’ dal Queensland al New South Wales e posizioniamo il cavalletto per un selfie di coppia, probabilmente meno brutto di quello degli asiatici di ieri.

Nimbin
Poco è rimasto da vedere in questo paese e dopo un breve tratto di litoranea, siamo diretti nuovamente in un altro posto. In realtà siamo indecisi sull’ordine da dare alle prossime due tappe: una è Byron Bay, piccola cittadina sulla costa, l’altra è Nimbin, comunità hippie in cima alle montagne. Siamo venuti a sapere di questo posto grazie ad un amico (Ciao Jacopo!!) e ci ha incuriositi abbastanza da non poter fare a meno di andarci. 
Impostiamo il navigatore e ci dirigiamo nuovamente verso l’interno, verso Nimbin. 
Sappiamo si tratta di un villaggio hippie, una comunità di 300 persone con, diciamo, un alternativo modo di vivere la vita. Ma ancora non sappiamo bene cosa aspettarci. Lungo la strada, quando ormai mancano pochi chilometri al villaggio, iniziamo a scorgere delle particolari e colorate decorazioni all’ingresso di alcune stradine laterali. Ma sarà solo una volta arrivati all’entrata del paese, che ci rendiamo veramente conto di dove siamo capitati. Un ostello alla nostra sinistra ha giocato con il nome della famosa marca Billabong, per coniare il proprio, ovvero ‘’Bringabong’’. Non stiamo li a tradurne il significato, lo lasciamo fare a voi. Prima di parcheggiarci, facciamo due vasche sulla via principale, una delle poche strade del villaggio. Una grande P indica un parcheggio nel retro di alcuni negozietti e ci entriamo. Non facciamo in tempo a parcheggiare e scendere dalla macchina, che un ragazzo, senza darci spiegazioni, ci invita gentilmente a parcheggiare ovunque ma non li, in quanto gli ‘’toglie la visuale’’. Non capiamo il motivo ma senza esitare spostiamo il van all’altro lato e qualche metro più avanti. Solo dopo essere scesi nuovamente dal van, capiamo cosa sta succedendo. All’altro lato del parcheggio, c’è un ragazzo appeso alla rete che delimita un parco. E’ il ragazzo che ci ha invitato a spostarci; è in piedi aggrappato alla rete e guarda verso l’entrata del parcheggio, come se stesse aspettando qualcuno. E’ di vedetta; più in particolare il suo ruolo è controllare se arriva la polizia. Un vai e vieni di ragazzi ci conferma i sospetti, e se già nello zaino con noi stavamo portando via dal van tutte le cose di valore, decidiamo di prendere proprio tutto il van e cambiare parcheggio. 
Ci fermiamo poco più in là, vicino alla strada principale, molto più trafficata e scendiamo per farci una passeggiata. Ci ritroviamo improvvisamente in un viaggio nel tempo, siamo all’inizio degli anni 70, l’aria odora d’incenso, attorno a noi colori, arcobaleni. Percorriamo la strada una prima volta, attorno gente di ogni tipo: un uomo è seduto in uno scanno e si fa incastrare nei suoi lunghi dread degli anelli colorati; alcuni musicisti suonano nei marciapiedi, in parecchi passeggiano scalzi per strada. Entriamo nel centro informazioni e abbiamo modo di leggere la storia di questo posto. Pare che sino alla fine degli anni 60 Nimbin fosse un centro di produzione casearia. Nel 1973 venne organizzato un festival non strutturato che attirò migliaia di giovani universitari ed esponenti della contro-cultura. Molti di loro decisero di rimanere nel posto dopo la fine del festival e il paese, ormai in crisi per la caduta dell’industria casearia, ricevette un forte impulso vitale. Vennero organizzate numerose comuni nelle quali gli hippie poterono portare avanti i propri propositi di un mondo migliore e Nimbin divenne la capitale “alternativa” dell’Australia, attirando giovani e artisti da tutta l’Australia e anche dall’estero. 
Oggi di quella comunità iniziale rimane probabilmente solamente il ricordo e quello che è rimasto è il fossile vivente di un’epoca inesorabilmente passata. Camminare tra le stradine del posto è in effetti affascinante e straniante allo stesso tempo. Entriamo nei vari negozi, guardiamo i vari articoli, alcuni interessanti, altri spazzatura da quattro soldi, parecchi oggetti in vendita sono finalizzati al fumare e nella maggior parte dei negozi compare la scritta “We don’t sell pot here”, qua non vendiamo erba. In compenso si trovano in vendita parecchie sementi nonché le guide per la coltivazione. I muri sono tappezzati di manifesti di vecchie manifestazioni, molte delle quali inneggiano alla strenua resistenza della piccola comunità contro l’oscurantismo o il proibizionismo.
Nimbin shops
A passeggiare appare invece evidente che ci sia una forte tolleranza da parte delle autorità nei confronti di questa piccola comunità e se è vero che l’erba non viene venduta nei negozi, è vero anche che non è affatto difficile procurarsene. Nel tornare verso il van passiamo in una piccola stradina dove ci sono alcuni gazebo, delle vere e proprie bancarelle, sui tavoli buste piene di erba, e un continuo via vai di persone. Torniamo nella strada principale, una ragazza ci chiede gentilmente “Cookies?”- biscotti- un’altra, altrettanto gentilmente, “Acid? Mushrooms?”, noi decliniamo l’offerta con la loro stessa gentilezza e mentre loro continuano il loro viaggio noi decidiamo di continuare il nostro.
Impostiamo il nostro navigatore gratuito verso Byron Bay, senza accertarci su quello più attendibile della strada che dobbiamo percorrere. Il primo tratto è una strada di montagna con le sue pecche ma comunque percorribile senza problemi. Ancora una volta siamo circondati da una fitta boscaglia che ombreggia tutta la strada; l’altitudine e l’ombra stessa, raffreddano l’aria e non ci sembra vera la sensazione di freschezza che stiamo provando. Ad una normale strada a due corsie, pian piano si sostituisce una strada sempre più stretta e mal ridotta; guadiamo un fiume, sfioriamo la cunetta, ci facciamo strada tra i buchi profondi nell’asfalto; ci chiediamo che razza di strada ci abbia mai suggerito il navigatore. Ormai ci conviene avanzare e sperare che la situazione migliori, ma quando sembra dalla mappa che stiamo per raggiungere una strada principale, ancora siamo lì a frenare ed evitare i profondi buchi, di quelli che se ci vai sopra ti distruggi la macchina. 
Raggiungiamo Byron Bay tra curve e dirupi e fiumi da guadare che sono le 16:00. 
Byron Bay lighthouse
Byron è una piccola cittadina ma molto accogliente e ordinata. La strada principale, senza stupirci, è ricca di locali e ristoranti e i negozi sono perlopiù per surfisti. Non è di certo un centro culturale ricco di attrazioni e musei, ma la costa è senz’altro il suo punto forte. Ce ne accorgiamo salendo al faro, dove abbiamo una spettacolare visuale di tutto. Percorriamo un breve sentiero a strapiombo sull’oceano e raggiungiamo il punto più a est di tutta l’Australia, foto di rito e poi scendiamo verso gli scogli, sempre seguendo il sentiero. Le onde sbattono con violenza formando degli schizzi d’acqua alti alcuni metri, dall’altra parte la spiaggia e l’acqua tranquilla, con alcune persone che approfittano delle ultime ore del giorno per fare ginnastica. 
Torniamo al van e ci rechiamo in una spiaggia vicina provvista di docce fredde all’aperto. Meglio di nulla. Ci laviamo e andiamo al “Basiloco”, ristorante sardo poco lontano dove lavora Mirko, un ragazzo di Milano conosciuto a Melbourne.
Il locale è carino, Mirko ci dice che è stato rinnovato da appena 2-3 settimane e si vede, tutto è nuovissimo. Ci sediamo, lo staff è italiano, ordiniamo un fritto di calamari come antipasto e un piattone di malloreddus alla campidanese. I piatti sono ottimi, anche se i malloreddus con la salsiccia che si fanno da noi sono comunque impareggiabili (Mirko non offenderti, quando verrai in Sardegna capirai ;) ). 
Conosciamo Manuel, il proprietario del posto, un ragazzo sulla 40ina di Cagliari. Che poi ad ascoltare le sue storie non è che ci sia rimasto così tanto a Cagliari. A dodici anni si è infatti trasferito in Germania con i genitori e poi ha vissuto per 16 anni in Messico prima di arrivare in Australia. Gli è rimasto comunque, marcato, indelebile l’accento casteddaio, e ci fa piacere risentirlo.
Chiediamo il conto, ma il cameriere ci informa che è già stato pagato.
Andiamo da Mirko, gli diciamo di non fare lo stronzo e di lasciarci pagare, ma non sente ragioni. 
Surfers @ Byron Bay
Decidiamo allora di offrigli da bere e ci sediamo un po’ a chiacchierare. Mirko lavora come chef e si è trasferito a Byron da pochi mesi. Dice che il posto è carino ma che gli manca da morire vivere a Melbourne, ma per ora sta qua.
Proviamo a pagare i drink, ma il barista decide di non prendere soldi da noi, e non ci resta altro da fare che lasciare una lauta mancia.
Usciamo dal locale e continuiamo la conversazione sul marciapiede, a noi si unisce anche il cameriere, un ragazzo alto e muscoloso proveniente dal Veneto. Ci consiglia un posto dove andare a passare la notte. Oltre a lavorare come cameriere insegna surf. Curioso che uno proveniente dal Grappa, terra di alpini, di neve, di sciatori, arrivi in Australia e la finisca a insegnare a surfare agli australiani. 
Salutiamo Mirko dicendogli che saremo comunque ripassati la mattina seguente prima di partire e andiamo a dormire. Il posto suggerito dal cameriere non è poi un granché, sebbene vicino, e sono evidenti i cartelli “no camping” e “no overnight staying”. Decidiamo quindi di spostarci leggermente fuori da Byron, in una delle centinaia di rest areas lungo le strade australiane e di passare qui la notte.


GIORNO 30 - "I THINK I BROKE THE BOAT"

GIORNO: 05/03/15
STATO: QUEENSLAND
KM GIORNALIERI: 156 km
PARTITI DA: Surfers Paradise
ARRIVATI A: Chinderah

Stamattina è un suono diverso dal solito a svegliarci. Arriva dagli alberi davanti a noi, ma è diverso da quello dei soliti uccellini che cantano la mattina presto. E’ un suono acuto che proviene da tante gole diverse, sono pipistrelli. E sono solo le 6 del mattino. Prendere sonno è difficile, anzi oserei dire impossibile. Poco dopo notiamo che anche i ragazzi del van accanto si svegliano, magari per lo stesso motivo. Bastano alcuni passi verso gli alberi, basta alzare la testa per scorgere decine e decine di pipistrelli appesi agli alberi, che strillano e si posizionano, si spostano e poi si aggrappano di nuovo ai rami, rigorosamente a testa in giù, quasi fossero i frutti di quegli alberi. 
Facciamo colazione con i soliti panini alla marmellata e alla Nutella e ci prepariamo per scoprire cosa ci riserva l’attività del giorno: il jet boat. La nostra prenotazione è per le 10 e puntuali ci facciamo trovare al molo, dove ci attende una ragazza dietro ad un banchetto. Con noi, altri due ragazzi sulla trentina e, come sempre, un gruppo di 6 asiatici. Questa volta sappiamo di certo trattarsi di giapponesi, non perchè stiamo diventando esperti, ma grazie al foglio firme poggiato sul banco. Non fosse per i loro lineamenti, avremmo comunque potuto azzeccarne la provenienza solamente dal numero di selfie scattati ancor prima di salire sul motoscafo. Notiamo inoltre una tendenza a salutare qualsiasi essere vivente passi nei paraggi, ma non ne comprendiamo il motivo. Scorgiamo da lontano arrivare un motoscafo identico a quello nei tabelloni pubblicitari e capiamo che si tratta del nostro. Alla guida un ragazzo sulla trentina o forse meno. Riponiamo i nostri bagagli in un armadietto e brevemente ci viene spiegato come, in caso di necessità, dobbiamo aprire il giubbotto di salvataggio che ci è stato precedentemente consegnato. Il ragazzo ci indica di prendere posto, facendo accomodare il gruppo giapponese nelle prime due file e noi 4 nell’ultima. Il jet boat si accende e si dirige al largo del canale, non ancora a pieno delle sue capacità probabilmente per dei presunti limiti di velocità del tratto. Ci suggerisce di allacciare le cinture di sicurezza perché pian piano darà forza al motore, ma ci rassicura anche che, nel caso di ‘’acrobazie’’ sull’acqua, le anticiperà con dei gesti. Davanti a noi e alla nostra destra, le ville si affacciano alla riva del canale tramite i propri ingressi; davanti alla porta d’entrata, non c’è il suv parcheggiato (magari quello è dall’altro lato della strada) bensì la barca. Davanti a noi, i grattacieli di surfers Paradise si susseguono uno dopo l’altro; più il jet boat prende velocità, più velocemente ci lasciamo alle spalle i palazzi alla nostra destra e poi alle nostre spalle. Ed ecco che arrivano i primi schizzi; il ragazzo inizia a divertirsi facendo oscillare lo scafo da una parte all’altra, inseguendo le onde create dalle scie delle altre barche, accelerando e sfiorando boe, pali e segnali. I primi urli, e forse gli unici, arrivano dalle bocche dei giapponesi che non si capacitano di un divertimento così ‘’estremo’’ neanche fossero nel tagada di Santa Vitalia. Il ragazzo al volante, diminuisce la velocità, si alza in piedi e ci spiega che davanti a noi, una ragazza all’interno di un motoscafo, ci farà delle foto; a turno ci alziamo quando richiesto e ci facciamo scattare questa benedetta foto che mai compreremo. 
Jet Boat @ Surfers Paradise
Ancora una volta ‘’l’autista’’ si gira verso di noi e ci comunica che stiamo per fare un giro intorno a noi stessi, e con il braccio in alto, compie un movimento di 360 gradi con l’indice, gesto che utilizzerà in seguito per indicarci nuovamente quando tenerci più stretti. 
Le mani stringono il tubo davanti a noi, i piedi sono puntati per terra e lo scafo accelera; una frenata brusca è accompagnata da una sterzata, che ci regala una ‘’secchiata’’ d’acqua in faccia intanto che giriamo su noi stessi tra le urla di gioia dei giapponesi. 
Ancora qualche acrobazia, qualche sterzata brusca e accelerata improvvisa, quando ad un certo punto uno strano rumore arriva dalle nostre spalle, accompagnato da una curiosa faccia del ragazzo-capitano. Le sue labbra si muovono per dirci:’’I think I broke the boat’’. Abbiamo appena fuso il motore dello scafo. Per due persone come noi, difficile credere nella sfiga, ma poco ci manca. Ad appena 30 minuti dei 60 totali, lo scafo viene dirottato verso la prima riva e il ragazzo ci invita a scendere sulla spiaggia. Ed eccoci li, 10 casi umani con giubbotto di salvataggio, scalzi, in un punto qualsiasi di un qualsiasi canale di Surfers Paradise. 
Mentre giovane autista spericolato cerca di capire qual è l’entità del danno causato, qualcuno è stato mandato a prenderci con un altro scafo. Cerchiamo un po’ di ombra sotto un albero nel cocente sole delle 11 del mattino e attendiamo una buona mezz’ora lo scafo gemello. 
I due ragazzi si danno il cambio e quello che è venuto a prenderci rimane insieme allo scafo danneggiato, mentre noi proseguiamo il nostro giro con lo stesso ragazzo, che ripetutamente si scusa per l’accaduto. Abbiamo ‘’a disposizione’’ ancora qualche acrobazia prima di tornare: di nuovo alcuni giri su noi stessi, ancora qualche brusca curva e salto e di nuovo il motore si rilassa, all’ingresso del canale in direzione del molo. Mettiamo i piedi a terra che ancora il ragazzo si scusa mortificato riguardo l’episodio del motore fuso. Chiariamo che è tutto ok e lasciamo il molo ridendo. 
L’acqua del canale era decisamente salata e quasi ci sembra di avere addosso sabbia. Ritorniamo nei bagni con doccia sfruttati ieri e ci diamo una rinfrescata, prima di prepararci un bel panino con carne cotta alla piastra. 
Dell’acqua per oggi ne abbiamo abbastanza, quindi si decide di passare il resto della giornata in montagna. E’ bello come parallelamente a chilometri e chilometri di spiagge, corrispondano internamente chilometri di parchi.
Natural Bridge - Springbrook National Park
Il parco in cui stiamo andando si chiama Springbrook National Park e anche questo ha un’infinità di passeggiate, belvedere, cascate e corsi d’acqua. Al primo posto della nostra scaletta c’è un posto chiamato Natural Bridge. Dopo pochi minuti di passeggiata nella solita passerella creata tra la fitta vegetazione, arriviamo in un posto meraviglioso. Il rumore dell’acqua che precipita, precede la vista, ma basta una leggera curva, bastano pochi passi affinché davanti a noi si presenti il Natural Bridge. Un arco, scavato nelle pareti della montagna a formare una grotta; l’acqua illuminata grazie all’apertura che essa stessa ha creato nella parte alta. Le pareti umide nella parte esterna della grotta sono verdi e avvolte da numerose piante rampicanti. Mentre avanziamo, entrando nella grotta e notiamo che nella cavità tramite la quale passa l’acqua, un grosso tronco poggia verticalmente lungo la parete, andando a ‘’frenare’’ la cascata prima che questa raggiunga la grande pozza. La grotta, ospita in un punto non raggiungibile dalla passerella, numerosissimi piccoli pipistrelli che svolazzano nella parte non illuminata. 
Qualche ragazzo scavalca la staccionata per tuffarsi nella gelida acqua del torrente. Proseguendo la passerella, ci spostiamo dai piedi della cascata al corso d’acqua che la precede, osservando la grande apertura nel punto in cui essa stessa si forma. Uno spettacolo. 
Un signore di mezza età si avventura sulla roccia e si affaccia nella grande apertura e per pochi istanti pensiamo si voglia buttare insieme alla cascata; per fortuna ci sbagliamo e vediamo che si arrampica nuovamente la roccia per raggiungere la passerella. 
Brook Falls
Forse di cascate non ne abbiamo ancora abbastanza, così raggiungiamo il van e ci spostiamo in un altro punto indicato dai marroni cartelli turistici: le Brook Falls. Percorriamo due differenti passerelle che ci permettono di osservare le cascate da due diversi punti di vista. L’acqua che precipita nello strapiombo della montagna, ci affascina ogni volta; la conferma è nella nostra memory card con le decine di foto dedicate. Proseguiamo la strada di montagna e ci facciamo attirare da un altro cartello con su scritto: Best of all lookouts. Non capiamo se si tratti o meno dell’ennesima australianata e decidiamo comunque di dargli una chance. La vista è davvero bellissima; non so se oserei metterla al primo posto tra tutte, ma davanti a noi si è aperta una vallata mozzafiato. In lontananza l’oceano fa da contorno alle montagne alberate, che quasi sembrano soffici tappeti verdi. L’aria parecchio nitida ci aiuta ad avere una visuale di chissà quante decine di chilometri attorno a noi.
Ci lasciamo ad ultimo la ciliegina sulla torta: il Canyon Lookout. Senza tanti dubbi, potrebbe aggiudicarsi il premio come miglior lookout, a discapito del precedente. 
Alle morbide montagne verdi e all’azzurro oceano si aggiunge la spettacolare vista di Surfers Paradise.I pallidi grattacieli smorzano per alcuni chilometri il confine terra-mare del restante panorama, regalandoci una visione di insieme impossibile da avere trovandocisi dentro. 
Sicuramente il buio e le luci artificiali della città, regalerebbero da quassù una sensazione del tutto diversa e altrettanto emozionante, ma il tempo a disposizione inizia a scarseggiare, e dalla montagna ci si sposta nuovamente verso la costa. 
E’ ora di pensare ad un posto dove passare la notte e con cosa sfamarci per la cena. Purtroppo per i nostri fegati c’è un caravan park proprio di fianco alla McDonald’s e la voglia di tirare fuori fornelli e pentole non ci assale. Per sentirci meno in colpa, giustifichiamo la cena a base di cibo-spazzatura, con il fatto che utilizzeremo il Wi-Fi gratuito per fare una cosa importantissima: inviare le domande per il visto studente nel sito del governo australiano. Purtroppo la vacanza è agli sgoccioli e ci sono cose molto importanti a cui pensare, e questa era al primo posto. 
Oggi è 5 marzo e il 23 di questo mese inizieremo a frequentare un corso di inglese a Melbourne. Senza lo student visa (il visto studente) non possiamo però rimanere in Australia nonostante la scuola sia già pagata. Il nostro visto working-holiday scade infatti il primo aprile, mentre la scuola finisce a giugno. In ogni caso, oggi ci siamo liberati di un peso non irrilevante.




venerdì 6 marzo 2015

GIORNO 29 - THE GOLD COAST AND SURFERS PARADISE

GIORNO: 04/03/15
STATO: QUEENSLAND
KM GIORNALIERI: 103
PARTITI DA: Brisbane
ARRIVATI A: Surfers Paradise


Ci svegliamo sulla spiaggia e ci mettiamo in viaggio ancora una volta, come sempre, verso sud, verso la Gold Coast. 
Sono poco più di 100 km e arriviamo in fretta. Usciamo dalla motorway e ci dirigiamo verso l’oceano. La vista ci è ostruita da alcune collinette, la sorpresa quando superiamo un ponte: decine e decine di grattacieli ci compaiono davanti.
Per prima cosa ci dirigiamo verso una doccia. Il nostro fido compagno di viaggio Wikicamps ci ha indicato una doccia gratuita proprio nel centro della Gold Coast, a Surfers Paradise. Arriviamo e ci troviamo un parco ben tenuto, con un bacino d’acqua nel quale alcune persone stanno facendo il bagno. Come al solito completano il tutto i barbecue gratuiti, i tavolini e il bagno. 
I bagno sono puliti, addirittura le docce sono calde, non che ce ne sia bisogno, ma pur sempre meglio di una doccia gelida come altre che ci è capitato di fare. Freschi e profumati ci rechiamo a far un po’ di spesa per pranzo. Arriviamo in un altro parco, barbecue, tavoli e bagni puliti e mangiamo. 
Durante il pranzo decidiamo cosa fare per la giornata seguente. Tramite internet prenotiamo un bel giro sulla laguna retrostante i grattacieli con un Jet Boat, un potente motoscafo, con piroette, 360° e quant’altro il pilota avrà modo di farci provare.
Q1 - Surfers Paradise
Finito il pranzo, risaliamo sul van e passiamo nelle strade centrali di Surfers Paradise, sotto i grattacieli. Inutile dire che i nostri occhi sono puntati verso l’alto, per cercare di arrivare alla punta dei palazzi e scrutare oltre. Sotto i grattacieli decine e decine di negozi di ogni tipo, dai più blasonati, ai negozi di souvenir super economici. Parcheggiamo e cominciamo a passeggiare. Notiamo da subito che molte delle insegne dei negozi, molti dei manifestini turistici e delle brochure sono non solo in inglese ma anche in una qualche lingua orientale che ipotizziamo possa essere il cinese (potrebbe anche essere giapponese, dichiariamo la nostra ignoranza in merito). Il motivo trova conferma con una rapida occhiata attorno: su dieci persone, almeno cinque hanno lineamenti orientali, una presenza turistica massiccia che non si limita alla visita sporadica come può essere la nostra, ma si traduce in una forte presenza anche sul mercato immobiliare locale. Le numerose agenzie presenti lungo le strade e il bilinguismo esibito anche nelle vetrine lo testimoniano.
Ci infiliamo in un negozio di souvenir e acquistiamo qualcosa. Continuiamo sul Surfers Paradise Boulevard, notiamo in lontananza un’ enorme LesPaul con il neon lampeggiante “Hard Rock Café”. Il bello e il brutto del franchising è che sai già cosa aspettarti. E l’Hard Rock Café da questo punto di vista non è diverso. All’interno troviamo i soliti reperti della storia del rock, alcuni interessanti, altri trascurabili. Non può mancare la SG di Angus Young. Probabilmente gli AC/DC hanno nella cultura australiana il valore di un Manzoni o di un Gramsci nella nostra. Arriviamo ai piedi del Q1, il grattacielo più alto della Gold Coast, ma è ancora presto per entrare. Decidiamo di fare come già fatto a Melbourne per l’Eureka e di andare una mezzora prima del tramonto in modo da godere a pieno della vista alla luce e al buio. 
Surfers Paradise - Gold Coast
Torniamo verso il van, passiamo sotto al famoso arco con la scritta “Surfers Paradise”, una vera e propria porta d’accesso all’oceano. Una lunga passeggiata con mercatino annesso costeggia la spiaggia. L’acqua è abbastanza mossa e poche persone si spingono più in là del bagnasciuga. Qualche surfista riposa sulla sabbia con la tavola poggiata di fianco. Qualcun altro prende il sole anche se ormai i grattacieli alle spalle proiettano la loro ombra su spiaggia e oceano.
Arriviamo col van ai piedi del Q1 e qui troviamo parcheggio. Paghiamo l’ingresso e in pochi secondi ci ritroviamo a quasi 300m d’altezza. Lo spettacolo è mozzafiato. La lunghissima spiaggia è colpita ininterrottamente dalle onde. I grattacieli proiettano ormai una lunga ombra sull’oceano. Dall’alto riusciamo ad avere una visione d’insieme di tutti questi palazzi. Pensiamo al fatto che è una città “non città” in quanto larga parte di quei palazzi sono null’altro che alberghi, ma lo scenario è comunque molto bello. Percorriamo alcune volte la circonferenza dell’ultimo piano, osserviamo le luci naturali che cambiano e quelle artificiali che cominciano ad accendersi. Ci fermiamo quindi nel lato nord, più interessante, per vedere il passaggio dalla luce al buio della sera. Sistemiamo la camera e scattiamo alcune foto. Stasera l’aria è nitida e riusciamo a vedere per parecchi chilometri di distanza una striscia ininterrotta di luci lungo la costa che poi scemano velocemente man mano che ci si allontana. 
Surfers Paradise @ night - Gold Coast
Usciamo dal Q1 che è già buio. Andiamo verso un posto dove pensiamo di poter dormire. E’ a pochi chilometri dal centro ed è indicato come dayspot, posto giornaliero. Abbiamo comunque letto commenti di altre persone che ci hanno dormito senza particolari problemi. Infatti arriviamo e a farci compagnia troviamo un altro van rosso. Due ragazzi sono seduti di lato e ci salutano. Anche loro hanno trovato questo posto grazie a Wikicamps. Uno dei due è americano, di Seattle, l’altro olandese. Alcuni minuti dopo arrivano anche altre due ragazze che stanno dividendo lo stesso van con loro. Sono entrambe svedesi, una di Stoccolma, l’altra del freddo nord. Scambiamo alcune chiacchiere, loro sono diretti verso nord, verso Cairns, poi ognuno di loro prenderà strade diverse, chi per le farm, chi tornerà in una qualche città del sud. Il posto è effettivamente tranquillo, nessun ranger o poliziotto si fa vivo e noi possiamo dormire tranquilli.



giovedì 5 marzo 2015

GIORNO 28 - BRISBANE

GIORNO: 03/03/15
STATO: QUEENSLAND
KM GIORNALIERI: 100 km
PARTITI DA: Caboolture
ARRIVATI A: Brisbane

Brisbane oramai è vicina; solo una quarantina di km ci separano. L’idea di girare nuovamente in città ci entusiasma, ma sappiamo già che la ‘’nostra’’ Melbourne è mille volte più bella. 
Valter e Monica ci avevano un po’ accennato cosa andare a visitare e così decidiamo di orientarci immediatamente verso il South Bank, al di la del fiume che attraversa la città. In effetti capiamo fin da subito che le cose interessanti sono tutte lungo la passeggiata che costeggia il fiume, ma decidiamo comunque di avvicinarci al centro informazioni. 
Brisbane CBD
La vista dei grattacieli che riflettono sul fiume, ci ricorda un po’ lo Yarra e i palazzi di Melbourne, ma sono sicuramente inferiori di numero. Il parco che stiamo attraversando, si estende in lunghezza, affiancando la riva. La passeggiata, all’ombra, è data da una fitta serie di piante rampicanti su dei pali curvi; il loro insieme ricorda un po’ la colonna vertebrale di un serpente. 
Anche Brisbane offre ai cittadini e ai turisti una piscina gratuita, con le sembianze di una spiaggia. Da un lato, la riva sabbiosa e i bambini che giocano nell’acqua bassa; dall’altro, il bordo cementato e i 2 metri di profondità. Decidiamo di concederci la piscina nel tardo pomeriggio e proseguire la nostra passeggiata, gustandoci un cornetto pagato la bellezza di 4$. 
Dei traghetti fanno la spola da una parte all’altra dei margini del fiume percorrendolo nella sua interezza. Scopriamo si tratta del City Hopper, ossia un traghetto gratuito che attraversa il fiume dando la possibilità ai passeggeri di scendere in una delle diverse fermate, in entrambe le rive. Saliamo a bordo. Fotocamera e action camera pronte a scattare e filmare: anche Brisbane ha il suo fascino da offrire. Alla nostra destra un muraglione roccioso di qualche decina di metri delimita il fiume. Un maestoso ponte congiunge due punti della città alle nostre spalle e una serie di grattacieli brillano al sole davanti a noi e alla nostra sinistra. Si affacciano sull’acqua una fitta rete di locali, bar e ristoranti, di quelli che leggi il menù e decidi di andare oltre. Il giro sul traghetto, per tornare al punto di partenza, dura circa un’ora; siamo parecchio stanchi e abbiamo bisogno di rinvigorirci. Ma non è ancora ora di buttarsi in acqua. Decidiamo ancora una volta di unire l’utile al dilettevole facendo una visita al Queensland Museum e alla sua aria condizionata. 
Animali imbalsamati, decine di riproduzioni e fossili, riempiono le teche nelle sale. Medaglie e cianfrusaglie di due soldati impegnati sulle trincee del fronte occidentale (cose che chiunque di noi riesce a trovare tranquillamente in casa tra nonni e bisnonni), qualche antico reperto sportivo, ancora una marea di insetti stecchiti parcheggiati in dei cassetti. 
Sono le 5 ed è ora di entrare in acqua. Ad un metro dai nostri asciugamani, due ragazzi italiani. Bastano 2 minuti per renderci conto che uno di loro l’abbiamo incontrato 2000 km prima a Cape Tribulation, in un campeggio. Passiamo un’oretta con loro come sempre a raccontarci le nostre esperienze e sopratutto quello che ci piacerebbe fare nel tempo; uno di loro ha lavorato nei campi di fragole per parecchi mesi e ora si sta concedendo una vacanza. L’altro invece a breve andrà a lavorare in una fattoria di mucche, in cambio di lezioni di equitazione. 
Il sole scende velocemente dietro i palazzi e sono solamente le 19:00 che è quasi buio. 
Brisbane CBD @ night
Cerchiamo un posto un po’ fuori dal centro per cenare e poi decidiamo di tornare verso i grattacieli per qualche foto notturna. Le luci della città, qualsiasi essa sia, ci incantano ogni volta. Attraversiamo la città con il van e dove possiamo mettiamo la testa fuori dal finestrino per cercare di scorgere gli ultimi piani dei palazzi. Nel lungo ponte che collega la parte sud con quella nord della città, illuminato di rosso ai lati in tutta la sua lunghezza, scorgiamo la passerella pedonale. Potrebbe essere un’idea quella di attraversarlo e fermarcisi nel mezzo per alcuni scatti sul fiume e i palazzi nello sfondo. Così facciamo. Il van è parcheggiato proprio all’entrata, davanti alle scalette che danno inizio alla passerella. Alla nostra sinistra le macchine sfrecciano ed entrano sul ponte, creando sull’asfalto delle vibrazioni che ci fanno ricordare di essere su una struttura flessibile. I camion ancor di più danno quasi la sensazione di un lieve terremoto. 
Lungo la strada, scorgiamo dei cartelli con su scritto ‘’help line’’ e un numero di telefono. Lì per lì non ci facciamo caso, ma più in la, circa nella parte centrale del ponte, la stessa scritta è accompagnata dalla frase ‘’There is hope, there is help’’; poco più in la, una cabina telefonica. Capiamo che questi messaggi sono dedicati a tutte quelle persone che scelgono il ponte come luogo in cui mettere fine alla propria esistenza. La sensazione che si è creata non è delle migliori; pensierosi, ripercorriamo la strada per tornare al van. 
Al molo decidiamo di prendere nuovamente il traghetto che di mattina ci ha scorrazzato lungo il fiume. Questa volta lo scenario ha un fascino diverso, quello delle luci delle mille finestre dei grattacieli dello skyline di Brisbane. 
Non avevamo di certo bisogno dell’oscillare del traghetto, per dormire profondamente dopo 10 minuti, ma di certo è stato d’aiuto per conciliare il sonno. Questa volta ad ospitarci per la notte è un parco antistante una spiaggia. Per fortuna il caldo del giorno ha lasciato spazio ad un venticello fresco e piacevole durante la notte, tanto da desiderare il lenzuolo nelle prime ore del mattino. 

GIORNO 27 - LA SUNSHINE COAST

GIORNO: 02/03/15
STATO: QUEENSLAND
KM GIORNALIERI: 312 km
PARTITI DA: Hervey Bay
ARRIVATI A: Caboolture

Ci svegliamo senza alcuna fretta. Abbiamo impostato la nostra destinazione verso la Sunshine Coast che dista poco più di due ore di guida, quindi con tutta calma facciamo colazione, sistemiamo il van e andiamo a fare spesa e gas. La strada verso sud prosegue come già l’avevamo incontrata, nulla di entusiasmante o anche solo divertente. 
Arriviamo a Noosa per ora di pranzo. La località si trova nell’estremità nord della Sunshine Coast. 
E’ un posto molto carino, abbastanza turistico, con una gradevole passeggiata con negozi e ristoranti. Vicino al centro una lunga spiaggia coperta dal promontorio, con acqua calma e parecchie famiglie.
Dall’altra parte del promontorio una spiaggia ancora più lunga aperta sull’oceano, ventilata e con alte onde.
Dopo la passeggiata e la visita canonica al centro informazioni, ci rechiamo verso la parte ventilata, verso l’oceano aperto e qui pranziamo.
Telefoniamo Valter e Monica, la coppia toscana conosciuta a Cape Tribulation. Loro sono a Brisbane ora e stanno salendo verso la Noosa. Ci diamo appuntamento e inviamo le coordinate di dove ci troviamo. In poco più di mezzora arrivano e parcheggiano. Noi abbiamo nel mentre approfittato per farci una doccia nei bagni pubblici del parco. Ancora una volta pulite, nuove, gratis.
Andiamo tutti e quattro verso la spiaggia per una passeggiata sulla sabbia sottile. Poco più in là una scuola di surf con una ventina di ragazze a ragazzi compie gli esercizi di riscaldamento.
Hanno tutti una maglia rosa shocking, entrano e riescono dall’acqua agitata, corrono sulla sabbia, si riposano un attimo e poi riprendono. Continuano coi loro allenamenti sfiancanti e noi continuiamo a chiacchierare. A un certo punto prendono tutti la tavola, si lanciano verso l’oceano e cominciano a remare. “Paddle, paddle, paddle” come ci ha insegnato Lorenzo.
Prendono le onde in faccia, ma non si fermano e continuano ad andare verso il largo, sempre più lontani, sempre più piccoli. 
Ridiamo e facciamo un parallelo con l’Italia, pensiamo a quale madre sarda manderebbe mai il figlio o la figlia a Scivu in un giorno di mareggiata a remare verso il largo sino a diventare poco più che un puntino. Mondi diversi.
Ci salutiamo con Valter e Monica. Loro vanno a cercarsi un campeggio, noi continuiamo verso sud. 
Non sono nemmeno le sei del pomeriggio, ma già il sole è basso alla nostra destra. 
Percorriamo la litoranea, poi rientriamo nella highway. La strada si fa più larga. Mancano ormai poche decine di chilometri a Brisbane. Dopo tanto viaggiare siamo un po’ desiderosi di tornare a una dimensione metropolitana.
Ci fermiamo a 40km dalla city, una stazione di servizio con un McDonald, parcheggiamo di fronte al fast food, scrocchiamo il Wi-Fi e qui passiamo la notte. 



domenica 1 marzo 2015

GIORNO 26 - ULISSE E LA GIOSTRA IMPAZZITA - FRASER ISLAND

GIORNO: 01/03/15
STATO: QUEENSLAND
KM GIORNALIERI: 0 km
PARTITI DA: Hervey Bay
ARRIVATI A: Fraser Island

Ennesima sveglia presto, ennesimo day tour. 
Anche questa volta siamo diretti al largo, più precisamente a Fraser Island. E’ da tanto che ne sentiamo parlare; la troviamo in ogni centro informazioni, è pubblicizzata in svariati campeggi.
Si tratta come già accennato, dell’isola sabbiosa più grande al mondo ed è percorribile esclusivamente da 4x4. Ci si può andare con il proprio oppure noleggiarlo o ancora sfruttare come nel nostro caso, i tour organizzati. I prezzi, oltre al percorso, variano in base al mezzo utilizzato e al numero di passeggeri. Nel nostro caso si tratta di un pulmino adibito a 4x4 che ospita circa 14 persone. Avremmo potuto scegliere anche una Hummer, il che sarebbe stato divertente e probabilmente più comodo, ma i prezzi iniziavano a salire parecchio. 
Sta di fatto che alle 8 il pulmino arriva al campeggio che manchiamo solo noi a completare la compagnia. Gli altri passeggeri, tutti ai loro posti, ci accolgono con un caloroso saluto, mentre noi occupiamo gli ultimi due sedili rimasti liberi, nell’ultima fila. Siamo già consapevoli che sentiremo ogni dosso almeno 2 volte più forte rispetto a quelli in prima fila, ma ce ne facciamo una ragione. 
In pochi minuti raggiungiamo il porticciolo dove è ormeggiato il traghetto tramite il quale raggiungeremo l’isola. Durante il tragitto abbandoniamo il pulmino e prendiamo posto nel piccolo ponte;per il momento il vento e le nuvole limitano il sole cocente e rendono l’attraversata piuttosto piacevole. Prendiamo nuovamente posto nel nostro mezzo, ancora ignari di quello a cui stiamo andando incontro. Siamo consapevoli del fatto che non sarà di certo un viaggio piacevole, che la strada è sconnessa, totalmente sabbiosa e ricca di dislivelli, ma forse non abbiamo bene in mente cosa significhi percorrerla. 
Sandy road - Fraser Island
Il pulmino sbarca e entra immediatamente in una pista di sabbia tracciata tra le vegetazione. il primo pezzo è abbastanza pressato, pochi scossoni. Poi si entra nella foresta, la sabbia si fa molle e comincia la giostra. Il limite di velocità sulle strade dell’isola è di 30 km/h, tranne per la 75 Mile Beach road, dove è di 80. 
L’autista-guida rispetta il limite di trenta ma sembra comunque di stare su di una Dune Buggy. Si salta, parecchio. Vediamo gli alberi a fianco inclinarsi prima da un lato, poi dall’altro, sentiamo un colpo davanti e sappiamo che in una frazione di secondo anche noi riceveremo lo stesso trattamento. Proviamo ad ammortizzare tenendoci leggermente sospesi, come un fantino al galoppo, ed effettivamente funziona, ma non avendo appigli per le gambe e le braccia è difficile tenere la posizione per più di qualche minuto. 
Arriviamo ad uno spiazzo e scendiamo. Un altro pulmino come il nostro è parcheggiato al nostro fianco. Siamo in mezzo a una foresta: alberi altissimi dal tronco imponente e poco più sotto palme. Guardiamo in terra e vediamo che tutto è sabbia e foglie. Non c’è terra. Null’altro che sabbia finissima, come farina.
L’autista ci indica un sentiero e lo percorriamo. Una passeggiata nell’ennesima rainforest incontrata durante il viaggio che ormai non ci stupisce, comunque bella. Torniamo verso il mezzo, dove l’autista ha provveduto a preparare il canonico morning tea: biscotti, succo di frutta e ovviamente il te caldo.
Lake MacKenzie - Fraser Island
Consumiamo e risaliamo sul mezzo pronti per un altro giro di giostra. Altri 20 minuti di saliscendi, sbatti, rockin’ and rollin’ in mezzo alla foresta e arriviamo alla seconda tappa della giornata: MacKenzie Lake. Scendiamo, percorriamo il breve sentiero che ci porta al lago e ci affacciamo su una spiaggia bianchissima dai granelli inconsistenti. La riva del lago ha i colori vivi del nostro mare, delle cale del golfo di Orosei, e per un momento sembra di non essere nemmeno in riva a un lago. Entriamo in acqua e sentiamo che l’acqua è dolce. Nel risalire verso il parcheggio leggiamo che il bacino non ha alcun immissario, e che quindi tutta l’acqua raccolta è di origine piovana. Può quindi capitare che il lago vada in secca nel caso in cui le piogge venissero a mancare per un periodo consistente.
Ci riaccomodiamo nel pulmino diretti verso l’area picnic, affamati e inconsapevoli che la nostra Odissea nell’isola sta per cominciare.
Come ad un Ulisse qualsiasi infatti, gli dei del 4x4 decidono di metterci lo zampino e colorare a modo loro quella che sarebbe dovuta essere una tranquilla escursione giornaliera.
Come prima di un qualsiasi tratto di strada particolarmente scosceso, l’autista prende la rincorsa per attraversare quello a cui stiamo andando incontro; siamo tutti pronti ad ammortizzare il colpo, chi afferrando il sedile antistante, chi preparandosi a sobbalzare, chi pressando la schiena contro il sedile. Ma il colpo non arriva. Il pulmino decide che andare avanti non è tra le opzioni a disposizione, preferendo bloccarsi tra la morbida sabbia della strada. L’autista non si perde d’animo e prova ad accelerare, tentando di oltrepassare l’ormai troppo alta barriera di sabbia. Accelera, prova la retromarcia, accelera nuovamente. Niente da fare, attorno alle ruote troppa sabbia. Invita tutti noi a scendere momentaneamente dal pulmino, mentre lui tenta in altri modi di superare l’ostacolo. Da fuori la conferma che i suoi tentativi sono vani. Propone allora di spingere tutti assieme il pulmino indietro, in maniera tale che una più proficua rincorsa con il mezzo vuoto, possa essere sufficiente. Niente da fare; la collaborazione tra i passeggeri riesce a mandare indietro il pulmino, ma nuovamente si blocca nel tentativo di andare avanti. 
Arriva in nostro soccorso una macchina che sta dietro di noi e in un modo o nell’altro, ci passa davanti, traina il pulmino in modo tale da superare il punto difficoltoso e ci permette, in un punto in cui la sabbia è più solida, di riprendere il nostro viaggio della speranza. 
Wild Dingo - Fraser Island
Qualche risata e commento sull’accaduto, e di nuovo siamo sulla giostra a saltare in tutte le direzioni consentite dalla fisica. Alcuni chilometri ci separano dal pranzo. Arriviamo in un’area picnic e aiutiamo l’autista a trasportare i contenitori del cibo e delle bibite, posizionandole nei tavoli. Il pranzo non è altro che una piadina e un discreto numero di ingredienti a scelta con cui imbottire il ‘’panino’’. Non il pranzo migliore che abbiamo mai fatto di certo, ma comunque rinvigorente. Mentre gustiamo i nostri ‘’succulenti’’ panini, notiamo una presenza che si avvicina verso di noi. Si tratta di un dingo selvatico. In realtà guardarlo non ci sorprende più di tanto; il suo aspetto è tale e quale a quello di un cane, stesso discorso vale per il suo atteggiamento. Dicono che i dingo possano essere pericolosi, ma concordiamo sul fatto che anche un cane randagio lo possa essere; in ogni caso manteniamo le distanze e ci limitiamo a qualche foto. Come suggeriscono i numerosi cartelli, non gli offriamo da mangiare e non ci avviciniamo, nonostante venga la tentazione.
Con un po’ di fretta, a causa del tempo perso a spingere il pulmino da una parte all’altra, abbandoniamo l’area pranzo per riprendere i nostri posti. Sobbalziamo per un quarto d’ora, forse venti minuti e arriviamo alla spiaggia, la 75 Mile Beach, che si stende su tutto il lato est dell’isola. 
75 Mile Beach - Fraser Island
La spiaggia è in realtà una vera e propria strada. Viste le condizioni delle altre strade interne si può in effetti considerare come l’unica vera strada. Le lunghe onde sulla battigia contribuiscono a formare un largo strato di sabbia umida che pressata dalle ruote dei fuoristrada che la percorrono assume la consistenza dell’asfalto, o quasi. La velocità sale, si arriva a sfiorare gli 80, le onde e l’Oceano Pacifico sulla destra, le dune sulla sinistra. Capita spesso di incrociare qualche altro mezzo. Valgono le regole stradali australiane e allora ci si sposta leggermente verso sinistra per lasciare lo spazio sufficiente al passaggio. La spiaggia continua a perdita d’occhio. Incrociamo un primo aereo da turismo, poi un altro. Anche per loro il lungo bagnasciuga è l’unico lembo sicuro dal quale partire e sul quale atterrare. Superiamo l’Eli Creek, l’autista fa sapere che ci fermeremo lungo la via del rientro. Arriviamo a una delle maggiori attrazioni dell’isola: Maheno Shipwreck.
Maheno Shipwreck - Fraser Island
Si tratta del relitto di una nave neozelandese dell’inizio del secolo scorso operante sulla tratta Nuova Zelanda - Australia. Nel suo curriculum ha potuto vantare l’utilizzo come nave-ospedale durante la prima guerra mondiale. Nel 1935 la nave venne venduta a un armatore giapponese assieme ad un’altra imbarcazione di fabbricazione australiana. Le due navi vennero legate assieme per essere trasportate e presero il largo dal porto di Sydney. All’altezza di Fraser Island, circa 50 miglia al largo, le due navi vennero investite da un ciclone tropicale. Le funi che le legavano si ruppero e la Maheno si perse tra i flutti assieme agli 8 membri dell’equipaggio. La nave e l’equipaggio vennero ritrovati 3 giorni dopo lungo la spiaggia. La nave ebbe la fortuna di insabbiarsi nel basso fondale e l’equipaggio poté mettersi in salvo organizzando un accampamento sulle dune retrostanti. Ogni tentativo di recupero del relitto fallì miseramente e oggi quello che resta della nave neozelandese giace in stato di abbandono in preda alle onde, alla sabbia e alla ruggine. Alcuni cartelli di pericolo attorno al relitto ci avvertono che la nave è pericolante e a guardare le foto di alcuni anni fa pare proprio che il processo di usura abbia subito una repentina accelerazione, tanto che oggi rimane solo lo scafo e poco più.
Rimaniamo a osservare il relitto per una decina di minuti, scattiamo alcune foto e continuiamo verso le Coloured Sand, poco più in là. Avendo accumulato un po’ di ritardo con l’insabbiamento, non scendiamo. Ci perdiamo effettivamente poco, alcune dune che chissà per quale minerale presente hanno virato il proprio colore dal giallo al giallo striato di arancione.
Facciamo inversione iniziamo a discendere verso sud, passiamo il relitto del Maheno e parcheggiamo al Eli Creek. Si tratta stavolta di un fiume con alcune pedane attorno per permettere di risalire lungo il corso. E’ stato costruito anche un bagno ed ecco fatta la “sosta turistica”. Scendiamo, percorriamo la pedana per un centinaio di metri o poco più ed arriviamo ad una scaletta che permette di scendere in acqua. La troviamo sorprendentemente fresca, il fondale abbastanza basso e la solita sabbia finissima ci permettono di tornare verso il mare con una piacevole passeggiata coi piedi a mollo. Alcuni ragazzi decidono invece di sfruttare la corrente e ci passano a fianco con materassini e gommoncini. 
Torniamo al pulmino, riprendiamo la strada, anzi la spiaggia e la ripercorriamo sino all’incrocio con la strada che ci dovrebbe riportare al traghetto. 
La giostra riparte, su, giù, sinistra, destra, si sbatte con gusto e si ride. 
Finché nell’affrontare un tratto in salita il pulmino rallenta, troppo, il motore comincia a salire di giri ma il pulmino continua a rallentare, sbuffa, sputa un po’ di sabbia e si ferma. Di nuovo.
L’autista, non ancora scottato dalla volta precedente, tenta di nuovo la carta della retromarcia. Vorrebbe nuovamente prendere la rincorsa e superare l’ennesimo insabbiamento, ma da dietro si sente un clacson. Il pulmino ha già lentamente iniziato a retrocedere e a quel punto una ragazza seduta alla nostra sinistra, nel dubbio, conferma all’autista la presenza di una macchina dietro di noi. Premendo leggermente il freno, l’autista precisa di esserne a conoscenza. Passa una manciata di secondi che però viene di nuovo investito dall’idea di procedere in retromarcia. Il clacson suona di nuovo. Questa volta nessuno fiata, fiduciosi che anche lui l’abbia sentito. Purtroppo per i passeggeri della mal capitata macchina, il piede rimane sull’acceleratore e la marcia impostata sulla retro. Arriva il colpo. I nostri sguardi si incrociano sbigottiti e divertiti allo stesso tempo. Entrambi gli autisti scendono dai veicoli e discutono sull’accaduto. Non sentiamo i discorsi, ma il ragazzo della macchina tira fuori il cellulare e inizia a filmare o fotografare la nostra guida, dritta sul viso. Capiamo non sia il momento più bello della sua vacanza. Il fuoristrada ha il paraurti evidentemente danneggiato; niente di irreparabile, ma comunque una scocciatura. Anche questa volta, riusciamo a metterci da una parte e lasciare spazio alle macchine accodate, che ci superano e proseguono il loro tour senza problemi. L’autista, che d’ora in poi per comodità chiameremo Greg, non ha ancora capito che i suoi metodi sono altamente discutibili e continua imperterrito un avanti e indietro nella sabbia, scavando con le ruote ancora più profondamente i lati della strada e peggiorando non di poco la situazione. Intanto tra il gruppo, al divertimento inizia ad aggiungersi un accenno di stanchezza. Capiamo che è nuovamente il tempo di collaborare. Questa volta tentiamo di spianare la strada, diminuendo il dislivello tra l’alta parte centrale e le profonde fosse laterali in corrispondenza del passaggio delle ruote. Ancora non basta. Il pulmino riesce a fare qualche metro in più, ma Greg tenta ancora con i suoi metodi e siamo di nuovo insabbiati. Ormai si va avanti di 10 metri e si torna indietro di 5. Come alcuni di noi notano, il problema non si limita alla soffice sabbia su cui poggiano le ruote, bensì al fatto che il pulmino, forse troppo basso, tocca la centrale striscia di sabbia della strada. I piedi, neri come la pece, continuano a spostare la sabbia, questa volta riducendo di alcuni cm il dosso centrale. 
Iniziamo a prendere rametti, foglie e quant’altro troviamo ai lati della strada, continuiamo a spianare e tirare fuori da sotto il primo strato la sabbia umida nel tentativo di aiutare il pulmino a terminare la salita. Dopo alcuni minuti siamo in cima. Risaliamo, piedi neri, sudore, risate. Si sta facendo piuttosto tardi, e non manca tanto alla partenza del traghetto di rientro.
Greg, consapevole di ciò schiaccia sull’acceleratore. Il limite di 30 viene abbondantemente superato, ormai la giostra corre impazzita, dentro pare di essere in un frullatore, prendiamo uno, due, dieci buchi enormi. A un certo punto ne prendiamo uno vistosamente più grande degli altri, “that was a good one!” si limita a dire il nostro Greg ormai in palla. 
A un certo punto, nel strada stretta, veniamo venirci incontro un altro fuoristrada. E’ evidente che manca lo spazio. Greg accosta in una piccola piazzola che fortuna ha voluto fosse a pochi metri. Entriamo nella piazzola, il fuoristrada avanza e scopre quanto prima veniva celato dalla sua altezza: una barca, una bella barca grande. Non c’è lo spazio. Greg prova ad avanzare ancora un po’ il fuoristrada si infila nello spazio lasciato libero, la barca lo segue, lo spazio rimane insufficiente, Greg prova una manovra d’emergenza ma è inutile. Tamponiamo la barca. Abbiamo appena fatto un incidente contro una barca nel bel mezzo di una foresta. Non riusciamo più a trattenere le risate. Non si sa come ma infine la barca passa. Ridiamo e tanto.
Riprendiamo la nostra corsa folle verso un traghetto che pensiamo di non prendere più. Sentiamo la comunicazione tra Greg e l’equipaggio. Sono pronti, stanno solo aspettando noi. Arriviamo, tutti ci osservano entrare come un qualcosa che non si sperava avvenisse e che invece poi, in qualche modo, si avvera. Scendiamo dal pulmino che sembriamo dei naufraghi, abbiamo i piedi neri per la sabbia spostata, siamo sudati e stanchi per lo sforzo fatto per ammortizzare i colpi della giostra.
Saliamo sul ponte, stiamo con alcuni colleghi di sventura e ridiamo per quanto successoci. Poi i discorsi cadono su altri argomenti e ci rilassiamo. 
Torniamo a terra. Ormai il peggio è passato. 
Greg ci riaccompagna al campeggio, lo salutiamo, lui ci fa un sorriso tra l’imbarazzato e il perso, ridiamo e andiamo dritti filati verso le docce. 
Anche oggi una giornata massacrante, anche oggi una giornata fantastica che difficilmente dimenticheremo.
Domani si riparte verso sud e si riposa.