Melbourne

Melbourne

domenica 1 marzo 2015

GIORNO 26 - ULISSE E LA GIOSTRA IMPAZZITA - FRASER ISLAND

GIORNO: 01/03/15
STATO: QUEENSLAND
KM GIORNALIERI: 0 km
PARTITI DA: Hervey Bay
ARRIVATI A: Fraser Island

Ennesima sveglia presto, ennesimo day tour. 
Anche questa volta siamo diretti al largo, più precisamente a Fraser Island. E’ da tanto che ne sentiamo parlare; la troviamo in ogni centro informazioni, è pubblicizzata in svariati campeggi.
Si tratta come già accennato, dell’isola sabbiosa più grande al mondo ed è percorribile esclusivamente da 4x4. Ci si può andare con il proprio oppure noleggiarlo o ancora sfruttare come nel nostro caso, i tour organizzati. I prezzi, oltre al percorso, variano in base al mezzo utilizzato e al numero di passeggeri. Nel nostro caso si tratta di un pulmino adibito a 4x4 che ospita circa 14 persone. Avremmo potuto scegliere anche una Hummer, il che sarebbe stato divertente e probabilmente più comodo, ma i prezzi iniziavano a salire parecchio. 
Sta di fatto che alle 8 il pulmino arriva al campeggio che manchiamo solo noi a completare la compagnia. Gli altri passeggeri, tutti ai loro posti, ci accolgono con un caloroso saluto, mentre noi occupiamo gli ultimi due sedili rimasti liberi, nell’ultima fila. Siamo già consapevoli che sentiremo ogni dosso almeno 2 volte più forte rispetto a quelli in prima fila, ma ce ne facciamo una ragione. 
In pochi minuti raggiungiamo il porticciolo dove è ormeggiato il traghetto tramite il quale raggiungeremo l’isola. Durante il tragitto abbandoniamo il pulmino e prendiamo posto nel piccolo ponte;per il momento il vento e le nuvole limitano il sole cocente e rendono l’attraversata piuttosto piacevole. Prendiamo nuovamente posto nel nostro mezzo, ancora ignari di quello a cui stiamo andando incontro. Siamo consapevoli del fatto che non sarà di certo un viaggio piacevole, che la strada è sconnessa, totalmente sabbiosa e ricca di dislivelli, ma forse non abbiamo bene in mente cosa significhi percorrerla. 
Sandy road - Fraser Island
Il pulmino sbarca e entra immediatamente in una pista di sabbia tracciata tra le vegetazione. il primo pezzo è abbastanza pressato, pochi scossoni. Poi si entra nella foresta, la sabbia si fa molle e comincia la giostra. Il limite di velocità sulle strade dell’isola è di 30 km/h, tranne per la 75 Mile Beach road, dove è di 80. 
L’autista-guida rispetta il limite di trenta ma sembra comunque di stare su di una Dune Buggy. Si salta, parecchio. Vediamo gli alberi a fianco inclinarsi prima da un lato, poi dall’altro, sentiamo un colpo davanti e sappiamo che in una frazione di secondo anche noi riceveremo lo stesso trattamento. Proviamo ad ammortizzare tenendoci leggermente sospesi, come un fantino al galoppo, ed effettivamente funziona, ma non avendo appigli per le gambe e le braccia è difficile tenere la posizione per più di qualche minuto. 
Arriviamo ad uno spiazzo e scendiamo. Un altro pulmino come il nostro è parcheggiato al nostro fianco. Siamo in mezzo a una foresta: alberi altissimi dal tronco imponente e poco più sotto palme. Guardiamo in terra e vediamo che tutto è sabbia e foglie. Non c’è terra. Null’altro che sabbia finissima, come farina.
L’autista ci indica un sentiero e lo percorriamo. Una passeggiata nell’ennesima rainforest incontrata durante il viaggio che ormai non ci stupisce, comunque bella. Torniamo verso il mezzo, dove l’autista ha provveduto a preparare il canonico morning tea: biscotti, succo di frutta e ovviamente il te caldo.
Lake MacKenzie - Fraser Island
Consumiamo e risaliamo sul mezzo pronti per un altro giro di giostra. Altri 20 minuti di saliscendi, sbatti, rockin’ and rollin’ in mezzo alla foresta e arriviamo alla seconda tappa della giornata: MacKenzie Lake. Scendiamo, percorriamo il breve sentiero che ci porta al lago e ci affacciamo su una spiaggia bianchissima dai granelli inconsistenti. La riva del lago ha i colori vivi del nostro mare, delle cale del golfo di Orosei, e per un momento sembra di non essere nemmeno in riva a un lago. Entriamo in acqua e sentiamo che l’acqua è dolce. Nel risalire verso il parcheggio leggiamo che il bacino non ha alcun immissario, e che quindi tutta l’acqua raccolta è di origine piovana. Può quindi capitare che il lago vada in secca nel caso in cui le piogge venissero a mancare per un periodo consistente.
Ci riaccomodiamo nel pulmino diretti verso l’area picnic, affamati e inconsapevoli che la nostra Odissea nell’isola sta per cominciare.
Come ad un Ulisse qualsiasi infatti, gli dei del 4x4 decidono di metterci lo zampino e colorare a modo loro quella che sarebbe dovuta essere una tranquilla escursione giornaliera.
Come prima di un qualsiasi tratto di strada particolarmente scosceso, l’autista prende la rincorsa per attraversare quello a cui stiamo andando incontro; siamo tutti pronti ad ammortizzare il colpo, chi afferrando il sedile antistante, chi preparandosi a sobbalzare, chi pressando la schiena contro il sedile. Ma il colpo non arriva. Il pulmino decide che andare avanti non è tra le opzioni a disposizione, preferendo bloccarsi tra la morbida sabbia della strada. L’autista non si perde d’animo e prova ad accelerare, tentando di oltrepassare l’ormai troppo alta barriera di sabbia. Accelera, prova la retromarcia, accelera nuovamente. Niente da fare, attorno alle ruote troppa sabbia. Invita tutti noi a scendere momentaneamente dal pulmino, mentre lui tenta in altri modi di superare l’ostacolo. Da fuori la conferma che i suoi tentativi sono vani. Propone allora di spingere tutti assieme il pulmino indietro, in maniera tale che una più proficua rincorsa con il mezzo vuoto, possa essere sufficiente. Niente da fare; la collaborazione tra i passeggeri riesce a mandare indietro il pulmino, ma nuovamente si blocca nel tentativo di andare avanti. 
Arriva in nostro soccorso una macchina che sta dietro di noi e in un modo o nell’altro, ci passa davanti, traina il pulmino in modo tale da superare il punto difficoltoso e ci permette, in un punto in cui la sabbia è più solida, di riprendere il nostro viaggio della speranza. 
Wild Dingo - Fraser Island
Qualche risata e commento sull’accaduto, e di nuovo siamo sulla giostra a saltare in tutte le direzioni consentite dalla fisica. Alcuni chilometri ci separano dal pranzo. Arriviamo in un’area picnic e aiutiamo l’autista a trasportare i contenitori del cibo e delle bibite, posizionandole nei tavoli. Il pranzo non è altro che una piadina e un discreto numero di ingredienti a scelta con cui imbottire il ‘’panino’’. Non il pranzo migliore che abbiamo mai fatto di certo, ma comunque rinvigorente. Mentre gustiamo i nostri ‘’succulenti’’ panini, notiamo una presenza che si avvicina verso di noi. Si tratta di un dingo selvatico. In realtà guardarlo non ci sorprende più di tanto; il suo aspetto è tale e quale a quello di un cane, stesso discorso vale per il suo atteggiamento. Dicono che i dingo possano essere pericolosi, ma concordiamo sul fatto che anche un cane randagio lo possa essere; in ogni caso manteniamo le distanze e ci limitiamo a qualche foto. Come suggeriscono i numerosi cartelli, non gli offriamo da mangiare e non ci avviciniamo, nonostante venga la tentazione.
Con un po’ di fretta, a causa del tempo perso a spingere il pulmino da una parte all’altra, abbandoniamo l’area pranzo per riprendere i nostri posti. Sobbalziamo per un quarto d’ora, forse venti minuti e arriviamo alla spiaggia, la 75 Mile Beach, che si stende su tutto il lato est dell’isola. 
75 Mile Beach - Fraser Island
La spiaggia è in realtà una vera e propria strada. Viste le condizioni delle altre strade interne si può in effetti considerare come l’unica vera strada. Le lunghe onde sulla battigia contribuiscono a formare un largo strato di sabbia umida che pressata dalle ruote dei fuoristrada che la percorrono assume la consistenza dell’asfalto, o quasi. La velocità sale, si arriva a sfiorare gli 80, le onde e l’Oceano Pacifico sulla destra, le dune sulla sinistra. Capita spesso di incrociare qualche altro mezzo. Valgono le regole stradali australiane e allora ci si sposta leggermente verso sinistra per lasciare lo spazio sufficiente al passaggio. La spiaggia continua a perdita d’occhio. Incrociamo un primo aereo da turismo, poi un altro. Anche per loro il lungo bagnasciuga è l’unico lembo sicuro dal quale partire e sul quale atterrare. Superiamo l’Eli Creek, l’autista fa sapere che ci fermeremo lungo la via del rientro. Arriviamo a una delle maggiori attrazioni dell’isola: Maheno Shipwreck.
Maheno Shipwreck - Fraser Island
Si tratta del relitto di una nave neozelandese dell’inizio del secolo scorso operante sulla tratta Nuova Zelanda - Australia. Nel suo curriculum ha potuto vantare l’utilizzo come nave-ospedale durante la prima guerra mondiale. Nel 1935 la nave venne venduta a un armatore giapponese assieme ad un’altra imbarcazione di fabbricazione australiana. Le due navi vennero legate assieme per essere trasportate e presero il largo dal porto di Sydney. All’altezza di Fraser Island, circa 50 miglia al largo, le due navi vennero investite da un ciclone tropicale. Le funi che le legavano si ruppero e la Maheno si perse tra i flutti assieme agli 8 membri dell’equipaggio. La nave e l’equipaggio vennero ritrovati 3 giorni dopo lungo la spiaggia. La nave ebbe la fortuna di insabbiarsi nel basso fondale e l’equipaggio poté mettersi in salvo organizzando un accampamento sulle dune retrostanti. Ogni tentativo di recupero del relitto fallì miseramente e oggi quello che resta della nave neozelandese giace in stato di abbandono in preda alle onde, alla sabbia e alla ruggine. Alcuni cartelli di pericolo attorno al relitto ci avvertono che la nave è pericolante e a guardare le foto di alcuni anni fa pare proprio che il processo di usura abbia subito una repentina accelerazione, tanto che oggi rimane solo lo scafo e poco più.
Rimaniamo a osservare il relitto per una decina di minuti, scattiamo alcune foto e continuiamo verso le Coloured Sand, poco più in là. Avendo accumulato un po’ di ritardo con l’insabbiamento, non scendiamo. Ci perdiamo effettivamente poco, alcune dune che chissà per quale minerale presente hanno virato il proprio colore dal giallo al giallo striato di arancione.
Facciamo inversione iniziamo a discendere verso sud, passiamo il relitto del Maheno e parcheggiamo al Eli Creek. Si tratta stavolta di un fiume con alcune pedane attorno per permettere di risalire lungo il corso. E’ stato costruito anche un bagno ed ecco fatta la “sosta turistica”. Scendiamo, percorriamo la pedana per un centinaio di metri o poco più ed arriviamo ad una scaletta che permette di scendere in acqua. La troviamo sorprendentemente fresca, il fondale abbastanza basso e la solita sabbia finissima ci permettono di tornare verso il mare con una piacevole passeggiata coi piedi a mollo. Alcuni ragazzi decidono invece di sfruttare la corrente e ci passano a fianco con materassini e gommoncini. 
Torniamo al pulmino, riprendiamo la strada, anzi la spiaggia e la ripercorriamo sino all’incrocio con la strada che ci dovrebbe riportare al traghetto. 
La giostra riparte, su, giù, sinistra, destra, si sbatte con gusto e si ride. 
Finché nell’affrontare un tratto in salita il pulmino rallenta, troppo, il motore comincia a salire di giri ma il pulmino continua a rallentare, sbuffa, sputa un po’ di sabbia e si ferma. Di nuovo.
L’autista, non ancora scottato dalla volta precedente, tenta di nuovo la carta della retromarcia. Vorrebbe nuovamente prendere la rincorsa e superare l’ennesimo insabbiamento, ma da dietro si sente un clacson. Il pulmino ha già lentamente iniziato a retrocedere e a quel punto una ragazza seduta alla nostra sinistra, nel dubbio, conferma all’autista la presenza di una macchina dietro di noi. Premendo leggermente il freno, l’autista precisa di esserne a conoscenza. Passa una manciata di secondi che però viene di nuovo investito dall’idea di procedere in retromarcia. Il clacson suona di nuovo. Questa volta nessuno fiata, fiduciosi che anche lui l’abbia sentito. Purtroppo per i passeggeri della mal capitata macchina, il piede rimane sull’acceleratore e la marcia impostata sulla retro. Arriva il colpo. I nostri sguardi si incrociano sbigottiti e divertiti allo stesso tempo. Entrambi gli autisti scendono dai veicoli e discutono sull’accaduto. Non sentiamo i discorsi, ma il ragazzo della macchina tira fuori il cellulare e inizia a filmare o fotografare la nostra guida, dritta sul viso. Capiamo non sia il momento più bello della sua vacanza. Il fuoristrada ha il paraurti evidentemente danneggiato; niente di irreparabile, ma comunque una scocciatura. Anche questa volta, riusciamo a metterci da una parte e lasciare spazio alle macchine accodate, che ci superano e proseguono il loro tour senza problemi. L’autista, che d’ora in poi per comodità chiameremo Greg, non ha ancora capito che i suoi metodi sono altamente discutibili e continua imperterrito un avanti e indietro nella sabbia, scavando con le ruote ancora più profondamente i lati della strada e peggiorando non di poco la situazione. Intanto tra il gruppo, al divertimento inizia ad aggiungersi un accenno di stanchezza. Capiamo che è nuovamente il tempo di collaborare. Questa volta tentiamo di spianare la strada, diminuendo il dislivello tra l’alta parte centrale e le profonde fosse laterali in corrispondenza del passaggio delle ruote. Ancora non basta. Il pulmino riesce a fare qualche metro in più, ma Greg tenta ancora con i suoi metodi e siamo di nuovo insabbiati. Ormai si va avanti di 10 metri e si torna indietro di 5. Come alcuni di noi notano, il problema non si limita alla soffice sabbia su cui poggiano le ruote, bensì al fatto che il pulmino, forse troppo basso, tocca la centrale striscia di sabbia della strada. I piedi, neri come la pece, continuano a spostare la sabbia, questa volta riducendo di alcuni cm il dosso centrale. 
Iniziamo a prendere rametti, foglie e quant’altro troviamo ai lati della strada, continuiamo a spianare e tirare fuori da sotto il primo strato la sabbia umida nel tentativo di aiutare il pulmino a terminare la salita. Dopo alcuni minuti siamo in cima. Risaliamo, piedi neri, sudore, risate. Si sta facendo piuttosto tardi, e non manca tanto alla partenza del traghetto di rientro.
Greg, consapevole di ciò schiaccia sull’acceleratore. Il limite di 30 viene abbondantemente superato, ormai la giostra corre impazzita, dentro pare di essere in un frullatore, prendiamo uno, due, dieci buchi enormi. A un certo punto ne prendiamo uno vistosamente più grande degli altri, “that was a good one!” si limita a dire il nostro Greg ormai in palla. 
A un certo punto, nel strada stretta, veniamo venirci incontro un altro fuoristrada. E’ evidente che manca lo spazio. Greg accosta in una piccola piazzola che fortuna ha voluto fosse a pochi metri. Entriamo nella piazzola, il fuoristrada avanza e scopre quanto prima veniva celato dalla sua altezza: una barca, una bella barca grande. Non c’è lo spazio. Greg prova ad avanzare ancora un po’ il fuoristrada si infila nello spazio lasciato libero, la barca lo segue, lo spazio rimane insufficiente, Greg prova una manovra d’emergenza ma è inutile. Tamponiamo la barca. Abbiamo appena fatto un incidente contro una barca nel bel mezzo di una foresta. Non riusciamo più a trattenere le risate. Non si sa come ma infine la barca passa. Ridiamo e tanto.
Riprendiamo la nostra corsa folle verso un traghetto che pensiamo di non prendere più. Sentiamo la comunicazione tra Greg e l’equipaggio. Sono pronti, stanno solo aspettando noi. Arriviamo, tutti ci osservano entrare come un qualcosa che non si sperava avvenisse e che invece poi, in qualche modo, si avvera. Scendiamo dal pulmino che sembriamo dei naufraghi, abbiamo i piedi neri per la sabbia spostata, siamo sudati e stanchi per lo sforzo fatto per ammortizzare i colpi della giostra.
Saliamo sul ponte, stiamo con alcuni colleghi di sventura e ridiamo per quanto successoci. Poi i discorsi cadono su altri argomenti e ci rilassiamo. 
Torniamo a terra. Ormai il peggio è passato. 
Greg ci riaccompagna al campeggio, lo salutiamo, lui ci fa un sorriso tra l’imbarazzato e il perso, ridiamo e andiamo dritti filati verso le docce. 
Anche oggi una giornata massacrante, anche oggi una giornata fantastica che difficilmente dimenticheremo.
Domani si riparte verso sud e si riposa. 

Nessun commento:

Posta un commento