Melbourne

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mercoledì 25 febbraio 2015

GIORNO 20 - THE WHITSUNDAYS ISLANDS



GIORNO: 23/02/15
STATO: QUEENSLAND
KM GIORNALIERI: 0
PARTITI DA: Airlie Beach
ARRIVATI A: Whitsundays Island

La sveglia di stamattina suona alle 06:00. Il sole è già caldo, in cielo ci sono poche nuvole e l’augurio è che la situazione non cambi e non ci rovini il tour. Siamo molto curiosi di vedere quest’isola e la spiaggia e il mare in generale, perchè sotto sotto, vogliamo confrontarlo con la Sardegna. Alle 07:45 siamo al porto, dove ci accoglie l’equipaggio; ci controlla i biglietti, conta i 25 passeggeri della ‘’Southern Cross’’ e ci guida verso la barca a vela. Prima di salire a bordo, la ragazza dell’equipaggio ci invita a mettere le scarpe dentro una grande sacca e così saliamo sul ponte tutti e 25 scalzi. Dopo aver compilato un po’ di fogli di autorizzazioni e dichiarazioni varie, ci accomodiamo, pronti a salpare. Per fortuna o purtroppo, oggi non c’è un filo di vento, quindi non avanzeremo con le vele ma bensì andremo a motore. 
Il capitano ci spiega che la barca è stata costruita a Perth e ha partecipato alla Coppa America nel 1976 prima di venire adibita a imbarcazione turistica. La forma dello scafo però testimonia il passato di barca da competizione, con la prua lunga e affusolata.
Tra il porto e la Whitsundays Island ci separano circa 3 ore di navigazione, durante le quali ci viene offerto uno spuntino (thè, biscotti e frutta), si chiacchiera, si osserva la costa. L’acqua per il momento non è chissà che, o meglio, è di un colore verde smeraldo molto intenso, che la rende quasi densa e compatta e non trasparente. La costa delle isole è rocciosa ma con degli alberi fini e alti e ogni tanto si scorge una spiaggetta. A farci compagnia durante tutta la tratta, ci sono tantissime farfalle colorate, che volano e planano affiancando la barca. Ogni tanto si incontra qualche catamarano e altre barche a vela, presumibilmente di tour organizzati come il nostro. 
Stiamo al largo di Whitsundays Island e ci viene spiegato che raggiungeremo la costa con un piccolo motoscafo, divisi in due gruppi. Ci viene consegnata anche una muta, che useremo una volta in spiaggia. Il motoscafo si parcheggia in quella che l’equipaggio ha chiamato ‘’Shitty Bay’’, ossia ‘’spiaggia merdosa’’ e in effetti non è delle migliori. Qua ci vengono riconsegnate le nostre calzature e la guida ci spiega cosa andremo a fare: attraverseremo un bosco con una passeggiata di circa 30 minuti prima di arrivare alla spiaggia, durante la quale ci affacceremo in due belvedere. A 5 minuti dal primo Lookout, ci attraversa il sentiero un’iguana, che però non ci da nemmeno il tempo di scattargli una fotografia. Il cartello indica che siamo a 50 metri dalla vista e all’ultima svolta ci rendiamo decisamente conto di essere arrivati. Davanti a noi, una distesa di sabbia bianca, con striature azzurre e celesti, tutto attorno il verde degli alberi che cade dritto sulla riva, lasciando poco spazio alla spiaggia. 
Whitehaven beach lookout
In mezzo all’acqua, talvolta è la sabbia ad avere la meglio e allora crea delle isolette sabbiose che piano piano sfumano sul celeste, quando si incontrano di nuovo con il mare. L’effetto dall’alto è pittoresco, è un quadro in cui l’artista si è divertito a giocare con i colori della tavolozza. 
Il cielo è un dettaglio non poco rilevante che con diverse sfumature di blu, aiuta il paesaggio ad essere ancora più mozzafiato. Ma vogliamo andare a metterci i piedi in quella sabbia e in quell’acqua; vogliamo passeggiare nella riva neanche fossimo i testimonial della dolce e gabbana. 
Un altro sentiero nella boscaglia, ci porta nella tanto attesa Whitehaven beach. Dalle dune di sabbia, ancora lontani dalla riva, l’effetto è quello che ci ha dato la vista dal belvedere, solamente ad altezza uomo. La sabbia è bianchissima e finissima, dobbiamo coprirci gli occhi perché il riflesso del sole rende tutta la superficie accecante. In mano abbiamo le nostre mute pronte ad essere indossate; dovrebbero proteggerci per il 90% dalle meduse, ma la guida, nel lookout ci dice di non averne avvistate tante. In realtà ce ne indica una ed è piuttosto grande e facilmente visibile, specialmente se si conta che si nota da un posto così in alto. 
Tutti e 25 non esistiamo ad indossare la muta subacquea e ad entrare in acqua.
Whitehaven beach
Notiamo subito che la nostra Sardegna non ha nulla da invidiare a questa spiaggia. E’ leggermente torbida e salatissima. Non riusciamo a vederci benissimo i piedi, se questo può essere un buon metodo di paragone. E’ il contesto a rendere speciale questo bagno. Paragoniamo la spiaggia un po’ a quella di Chia, ma concordiamo sul fatto che l’acqua stia sotto di qualche punto. Questo non vuol dire che tutte le spiagge siano così qua, sia chiaro, ma fino ad ora niente ci ha stupito per quanto riguarda il mare. 
Rimaniamo in ammollo per un bel po’, finché lo stomaco inizia a brontolare ed è infatti ora di tornare a bordo e farci stupire dal menù proposto.
Riconsegniamo le scarpe, saliamo sul motoscafo, torniamo a prendere posto all’interno della barca a vela. Il pranzo è a buffet e ci serviamo con insalata di riso (più o meno), pasta (se così la vogliamo chiamare) e altri cibi freddi. Mandiamo giù tutto in fretta per sentirlo buono, e intanto ascoltiamo le guide che ci spiegano la prossima tappa.
E’ l’una e andremo a fare un po’ di snorkeling. 
Whitehaven beach
Indossiamo nuovamente le mute, in due gruppi raggiungiamo con il gommone il largo di una spiaggetta e ci buttiamo in acqua con maschera e boccaglio. L’acqua purtroppo è un po’ torbida e non ci permette di avere una visione nitida del fondo, se non andando molto sotto. Cazzeggiamo un po’ nella speranza di scorgere qualcosa di interessante, ma poco e niente.
Risaliamo a bordo e questa volta ci attende una scorpacciata di melone, ananas e anguria tagliati a fette e tortini di cioccolato e cocco. Ci rimpinziamo ancora un po’ e ci rilassiamo al bordo della barca. Gabriele in realtà fa a tempo a rilassarsi per poco, perchè il capitano, un ragazzo sulla trentina, sta cercando due volontari per issare le vele e provare ad andare con il motore spento. Gabriele si offre volontario insieme ad un altro ragazzo. La scena vede i due baldi giovani che mettono tutte le loro forze sulla corda da tirare, e la vela che più o meno velocemente si apre e muove verso l’alto. Con la lingua fuori, entrambi riprendono posto. 
Il capitano spegne i motori e prova ad avanzare con la sola forza delle vele. Ci comunica che stiamo andando alla velocità di 2 nodi e di questo passo saremo al porto in 6 ore. 
Si può proprio dire che abbia issato le vele solo per farci provare l’ebbrezza della barca a vela, ma dopo 10 minuti in cui siamo quasi completamente fermi, riprendiamo ad andare a motore.
Alle 17:30 o poco più siamo di nuovo al porto. Siamo accaldati e appiccicosi e non ci pensiamo due volte a correre in piscina, dove restiamo fino a ora di cena. 



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